martes, julio 14, 2020

Aspettando lo svolgersi degli eventi


Sono le ore 18:14 e, per la prima volta da diversi mesi, mi godo il silenzio di questa casa senza la prole attorno a far chiasso (grida, pianti, lamenti infantili immaginari che, a volte, hanno il potere di spingerci al suicidio o ad atti ancora più convulsi: tiro il computer dalla finestra o butto giù voi? Che famo? Dai, ora tocca a te! Ha fatto la cacca! No! Ma un'altra volta? Di nuovo? Non è possibile, cazzo! Ma cosa gli dai da mangiare a questa creatura? Gli "diamo", prego, non sono mica solo io quella che decide il menù del giorno, ti piacerebbe, vero?!).

E mentre il silenzio mi culla, leggo il bellissimo saggio The Story of Looking di Mark Cousins: un libro che illumina la mente, oltre agli occhi. Un saggio scritto con uno stile piano, un linguaggio non specialistico, ma ricco di spunti che ti spingono a riflettere, a prendere la matita per sottolineare alcune frasi che diventano quasi aforismi, porte che si aprono verso mondi di significato che prima intuivi soltanto, mentre ora, grazie al modo di guardare la realtà e le immagini di Cousins, riesci a osservare da un punto di vista inedito (una frase al volo, tra le tante su cui tornare a riflettere a lettura completata: "Una casa è piena di segreti visivi"; ed è così, accidenti, basta aprire il cassetto del comodino accanto al letto per scoprire mille enigmi intimi, scontrini di compere fatte chissà quando, biglietti del treno di quando ancora vivevamo in Italia e ci spostavamo lungo l'asse Firenze-Pisa - con diverse fermate a Empoli - o Firenze-Roma - con quello strano cartello di Orte; profilattici scaduti, metonimie di rapporti sessuali sognati e mai realizzati; calzini bucati di cui vergognarsi, se qualcuno li scovasse lì in mezzo a tutte quelle carte e foto di ex-amanti che a quest'ora chissà dove saranno e con chi e come avranno affrontato la pandemia di quasi 4 mesi).

Leggo e mi guardo attorno e assaporo questo silenzio, interrotto ogni tanto solo dal cinguettio degli uccellini in terrazza...

Poi un suo messaggio dal Whatsapp (dovrei tenere il cellulare a debita distanza, quando leggo un libro che mi prende così tanto, lo so, ma da quando siamo genitori, è più forte di entrambi, dobbiamo essere sempre reperibili l'uno nei confronti dell'altro, soprattutto quando l'altro è uscito in macchina con la prole per andare a fare la spesa al più grande centro commerciale della zona): "Non c'è Qualità Rossa, ti va bene lo stesso Lavazza Crema e Gusto?". Accontentiamoci. La vita è amara. Ma il caffè di marca italiana è cosa giusta e necessaria (è sempre cosa giusta e necessaria, soprattutto dopo una pandemia).

Il primo piano di una capra da un film di Tarkovskij (L'infanzia di Ivan?). E Mark Cousins si domanda: ma come ci guardano gli animali? E cosa vedono di noi? E come siamo soliti guardare noi gli animali? Com'è cambiato questo sguardo, nel corso dei secoli, oggi che non abbiamo quasi più contatti diretti con gli animali, se si eccettuano quelli da compagnia, come cani e gatti?

Ecco: sono queste le domande che si pone (e ci pone) uno come Cousins; domande che mi fanno venire in mente altri due saggi sulla fotografia (e sulla questione di come interpretiamo le immagini) altrettanto brillanti e che meritano il plauso di ogni lettore attento...Mi riferisco al Geoff Dyer di L'infinito istante. Saggio sulla fotografia (Torino, Einaudi, 2007) e al Joan Fontcuberta di La furia de las imágenes. Notas sobre la postfotografía (Barcelona, Galaxia Gutenberg, 2016). Due libri eccezionali che illuminano le (ancora oggi) molte zone d'ombra prodotte dalle immagini che creiamo o che abbiamo creato (nei secoli) attraverso una macchina fotografica. Che saggi! Che spasso!

E mentre aspetto l'evolversi degli eventi (potremo tornare in Italia? Ci lasceranno uscire dalla Spagna? Non è pericoloso? Non sono un po' troppi i nuovi focolai del coronavirus? Le autorità stanno davvero monitornando la situazione? È davvero tutto sotto controllo?), giro pagina e dopo il primo piano tarkovskijano della capra m'imbatto nel primo piano struggente e in lacrime di Marina Abramovic, l'artista contemporanea che ha inventato l'installazione (o "performance") The Arist is Present (al MOMA di New York, se non ricordo male, nel 2010). 

Sì, è lei. L'artista è davvero "presente": seduta per più di 700 ore, Marina si limita a guardare negli occhi tutti coloro che abbiano voglia di sedersi di fronte all'artista. E tra questi "tutti", non dimenticherò mai l'emozione della scena, ecco che spunta il suo ex-fidanzato, compagno di avventure e di scorribande artistico-rivoluzionarie giovanili. Questo Mark Cousins non lo dice, sono io che l'aggiungo e lo ricordo: quando Marina ri-apre gli occhi e se lo trova davanti, scoppia a piangere. Sono passati decenni dall'ultima volta che si sono visti, ma il passato non passa, se ci sono di mezzo i sentimenti (o se c'è stato di mezzo Eros). Marina piange e lui, il suo ex, gli stringe forte le mani, allunga le braccia verso di lei, come a volerle dire: "Ehi, stai tranquilla, sono qui per te, faccio il tifo per te, continua così, vai alla grande"... E noi piangiamo insieme a Marina. Anche in questo caso, è davvero tutta una questione di "sguardi".

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