lunes, enero 05, 2009

Calle Muntaner

 

Para Mauro, por su abundante hospitalidad

 

La finestra è socchiusa e, nonostante le fronde degli alberi, si riesce a intravedere l’interno della stanza. Una bella libreria bianca, il televisore al plasma sulla sinistra e la poltrona verde sulla destra. Un’ombra cammina, da destra a sinistra, per poi fuoriuscire dal mio campo visuale, dal rettangolo della finestra, dall’inquadratura di un film muto che, ormai, va avanti da troppi giorni.

 

E’ notte fonda. La ragazza (sui venticinque anni) spegne la luce dell’abat-jour accanto alla poltrona. E’ seminuda. Spensierata. Ignora che qualcuno possa spiarla dall’appartamento di fronte. Mi sento in colpa, ma la tentazione è forte. Come si può evitare di guardarla? Chi potrebbe resistere a un simile regalo? Le foglie degli alberi stanno ingiallendo; la temperatura si è fatta più fredda. Vivo in questa casa da due anni. Calle Muntaner è diventata più lugubre negli ultimi tempi. Una signora anziana apre la porta d’ingresso e sparisce dentro l’oscurità.

 

Tremo all’idea di avvicinarmi al citofono. Non so come si chiama. Non ho nemmeno il suo numero di telefono. Sfoglio l’elenco telefonico come fosse un libro di magia nera che mi offrirà la formula per scovare il tesoro nascosto. Forse sto davvero diventando pazzo. Però… è così, non ci sono dubbi: basterebbe scoprire la scala, il numero dell’interno e poi incrociare il cognome con il nome della strada per dedurne anche il numero del telefono. Ogni tanto la sento ridere. Volevo dire: la vedo, mentre ride. Chissà con chi parla. E se è fidanzata. A volte balla da sola. Una volta mi ha visto. Ho gettato il fazzoletto per terra e mi sono allontanato immediatamente dalla finestra. Devo smetterla o mi denuncerà alla polizia. Uno psichiatra parlerebbe di voyeurismo. Devo smetterla di toccarmi quando lei balla o attraversa le sue stanze seminuda (reggiseno e mutandine, un culo all’insù e sodo, spesso indossa dei perizomi minuscoli, sottile striscia di tessuto sulla carne). Calle Muntaner è stranamente affollata oggi: due vecchiette col bastone attraversano sulle strisce pedonali a una lentezza snervante. Una mamma chiacchiera allegramente con la figlia piccola in divisa scolastica di rigore. La mia cara dirimpettaia ha da poco spento la luce. Un auto sta per tamponare un camion della spazzatura e si sente la frenata improvvisa all’altezza dell’incrocio. Fine dello spettacolo: chiudo persiane e finestra e mi metto a fumare in sala davanti a uno degli episodi più esilaranti della serie dei Soprano; quello in cui Tony Soprano teme di essere stato avvelenato da una spia al ristorante indiano. E vomita l’anima, mentre la moglie Carmela prova a tirarlo su di morale. Geniale.

 

Questa mattina sono andato a fare la spesa al Corte Inglés. Prezzi alle stelle. Barcellona non è più la stessa. Sembra che sull’intera città sia scesa una nube di polveri sottili che ha reso la popolazione più inerme e più idiota del solito. Una mia vicina di casa mi riconosce. Mi saluta, anche se cerco di evitarla nascondendomi dietro la pila dei detersivi.

“Ma ieri notte lei non ha sentito niente?”.

Rispondo di no, seccato.

“E’ venuta perfino l’ambulanza, non ha sentito le sirene? Ah, beato lei, che riesce a dormire, io ho il sonno leggero e se prima non prendo almeno una goccia di valeriana non riesco a chiudere occhio, sa?”.

Soffro d’insonnia dall’età di quindici anni. E’ per questo che sono costretto a prendere i sonniferi. Ieri sera, però, devo aver esagerato. Non un rumore. Non un sussurro.

La vicina ha avuto un malore. Era giovane, sui venticinque anni, bella e intelligente. Dicono frequentasse l’ultimo anno di Medicina; lavorava come praticante al Gregorio Marañon. Ha sbattuto la testa contro lo spigolo della vasca mentre faceva la doccia.

La vicina continua a parlarmi, ma è come se fosse muta. Parla e muove le labbra, ma io non sento più niente. Mi metto in fila e pago con carta di credito. Salgo le scale del palazzo a due a due. Getto la spesa alla rinfusa sul pavimento e afferro il binocolo. L’abat-jour è spenta. La poltrona verde è al suo posto. La tv è accesa. La ragazza è viva e vegeta. Balla al ritmo di chissà quale musica. Devo smetterla di dare retta alle farneticazioni di vecchie rincoglionite che non fanno altro che spettegolare dei fatti degli altri. Se mi disturba ancora con le sue storie un giorno di questi l’ammazzo. La faccio a pezzi e poi la carico sul carrello e la prezzo… Un prezzo diverso per ogni pezzo del corpo…

 

Oltre ai Soprano adoro Woody Allen. Sono andato al Cine D’Ors per vedere Vicky Cristina Barcelona. Troppo sdolcinato, troppo romantico e l’immagine che offre di Barcellona è troppo oleografica. Mi sono piaciuti molto gli sketch tra Javier Bardem e Penélope Cruz; loro due sì, sono bravi, fanno ridere quando litigano; sono due comici nati.

 

La ragazza si chiama Laura Rodríguez Pastorino. Ho incrociato i dati; ho scoperto la scala dall’ascensore (sì, l’ho seguita fino all’ascensore, facendo finta di essere il postino e infilando una copia sdrucita dell’elenco telefonico dell’anno scorso nella casella di un inquilino del primo piano). Calle Muntaner, 29, scala C, interno 12. Non è stato poi così difficile. E inoltre, se un uomo è dotato di buona volontà e sa portare pazienza, allora potrà realizzare ogni suo sogno, raggiungere ogni meta, non esisterà ostacolo che possa frenarlo. Ho il suo numero telefonico, lo so già a memoria: 914483196. Lo so a memoria e me lo ripeto mentalmente e, a volte, lo pronuncio a bassa voce, come in una litania. Ma non ho ancora avuto il coraggio di usarlo, ancora non l’ho chiamata. Laura. Ho il tuo numero. So chi sei. Sai chi sono? Pronto? Pronto? C’è nessuno?

 

Laura chiacchiera al telefono; potrebbe essere il fidanzato, l’amante, il marito, il collega dell’ospedale, il compagno di facoltà… Sorseggio il mio caffè di metà mattinata e mi diverto a spiarle le fossette che le spuntano quando ride di gusto alle battute di chissà chi. Poi squilla il telefono. E’ mio fratello, Mauro. Un tipo simpatico e schietto, ma ultimamente è troppo apprensivo nei miei confronti. Crede che da quando sono andato a vivere da solo in questo appartamento, subito dopo il divorzio, sia diventato troppo taciturno.

“Allora, come va il caso clinico? Da quanti giorni sei rinchiuso nella tua tana?”.

“Non dire cazzate, Mauro. Sono uscito ieri”.

“Sì, certo, per andare a comprare le sigarette o il giornale, o sbaglio?”.

“No, stupido. Sono andato al cinema a vedere l’ultimo di Woody Allen”.

“Hai visto la scena del bacio lesbico tra la Penélope Cruz e la Johansson?”.

“Era un trio, c’era anche Bardem in quella scena”.

“Sì, sono d’accordo, ma tutto ha inizio grazie al bacio lesbico, non ti pare?”.

Laura ha riattaccato. Mauro continua a fare lo scemo e a scherzare. Crede stia diventando un maniaco depressivo, un misantropo.

“Quando passi da queste parti?”.

“Non lo so. Ho molto da fare, ultimamente”.

Laura si alza e chiude le persiane. Spettacolo finito. Game over. Les jeux sont faites. Almeno per oggi.

“Scusa,  ma cos’hai da fare ? Non sei tu quello che è andato in pensione per godersi gli ultimi giorni che gli restano ancora da vivere prima di tirare le cuoia?”.

“Sì, ed è per questo che vado al cinema e che… ho molto da fare”.

“Non è che invece stai ancora pensando a lei?”.

“Tu Carmen la devi lasciare da parte, non la devi nemmeno nominare in mia presenza, capito?”.

 

Se Carmen sapesse cosa faccio, da questa finestra, col binocolo, mi sputerebbe in faccia e, molto probabilmente, avviserebbe sia Laura che la polizia.

Ma Carmen non mi conosce, non capisce, non mi ha mai sopportato.

Ed è per questo che ci siamo lasciati.

 

“In realtà è stata lei a mollarti. Non ce la faceva più e aveva le sue buone ragioni. Stavi diventando un maniaco ossessivo. Eri più geloso di Otello e Carmen ha fatto proprio bene a chiedere il divorzio”.

“Sei uno stronzo, Mauro, sappilo”.

Gli riattacco in faccia. Lo odio quando comincia a sproloquiare di cose che non conosce. Forse nemmeno mio fratello mi ha mai conosciuto veramente.

 

Estraggo dal lettore il dvd della sesta stagione dei Soprano. Ho letto su El País che James Gandolfini ha da poco divorziato dalla giovane e bella moglie tailandese. Si dice che fosse una tipa alquanto gelosa e che lo abbia tenuto a stecchetto. Prima delle nozze lo ha obbligato a seguire una dieta ferrea. E Gandolfini lo ha fatto: è dimagrito per lei di sedici chili.

Quanta fatica sprecata.

 

Sono le 2,36 del mattino e Laura è da poco rincasata. Indossa un vestito nero molto elegante e pieno di trasparenze. Deve aver fatto bisboccia. Si slaccia il reggiseno. La chiamo:

“Pronto?”.

Cosa posso dirle? Mi sono innamorato di te, Laura; tu non sai chi sono io, non mi conosci, ma io ti ho vista milioni di volte e mi piaci tanto. Cosa dire per non suonare falso e retorico? Vuoi sposarmi, sono un tuo fan da molti mesi, ormai, cosa ne pensi?

Cosa dire?

 

Ho riattaccato. Laura chiude le persiane. Calle Muntaner è bagnata. Ha piovuto e io non me ne sono accorto, concentrato com’ero a non dire nulla a Laura. Non mi sono reso conto delle condizioni climatiche esterne. Ero troppo concentrato.

 

“Ma come, non mi dica che nemmeno ieri notte non si è accorto di nulla! Sono arrivati anche quelli delle Forze Speciali, non ha sentito niente?”.

Di nuovo lei, la pettegola, la vicina di casa, la signora Trejo. Questa volta siamo dal tabaccaio. Ora le do fuoco. Anzi, meglio: prima la strozzo, poi la cospargo di benzina e infine la illumino a giorno come fosse un albero di Natale…

“No, dormivo, non mi sono accorto di niente, signora Trejo, chi è che è venuto sotto casa?”.

“Le Forze Speciali, non le ha viste?”.

Ignoro cosa siano queste Forze Speciali. Saluto con sguardo cattivo la mia cara vicina di casa e torno su. Afferro il binocolo. Laura è distesa sul divano, sembra che stia dormendo. Squilla il cellulare. E’ ancora lui, Mauro. Non ho voglia di starlo a sentire. Non ho voglia di riparlare del mio divorzio e di Carmen. Non è tutta colpa di Carmen, accidenti. Ora è colpa di Laura. Non riesco più a toccarmi. Il fazzoletto sporco giace accanto al posacenere. Sperma ingiallito e mozziconi di sigaretta. Polvere siamo. La chiamo di nuovo. Laura si sveglia di soprassalto e solleva la cornetta con lentezza, è tutta spettinata (Laura, non la cornetta), ha ancora il segno del cuscino sulla guancia:

“Pronto?”.

“Laura?”.

“Sì, chi è?”.

Non ce la faccio. E’ più forte di me. Riaggancio. Laura urla o dice qualche parolaccia contro la cornetta. Forse sto esagerando. Potrebbe farsi mettere il telefono sotto controllo. Potrei essere scoperto dalle microspie delle Forze Speciali. Eppure ieri notte ero sveglio, non ho preso le solite pasticche, perché non ho visto né sentito niente?

 

Faccio colazione davanti al tg. Apro la pagina di cronaca nera del giornale e leggo della morte della mia vicina di casa, la signora Trejo. Si è suicidata gettandosi dal quarto piano del mio palazzo, due piani sotto di me. Ma come mai non ho visto né sentito niente? Dov’ero, quando la poveretta si è gettata nel vuoto sfracellandosi contro l’asfalto?

 

E’ ancora Mauro:

“Carmen ti amava, Luis, e tu l’hai fatta impazzire per colpa della tua gelosia ossessiva. Devi farti curare, non puoi continuare così, potresti farti del male”.

“Tu sei pazzo, Mauro”.

 

Alzo la cornetta. La chiamo. Laura non si vede in giro e non risponde. Scendo di corsa le scale. Ho la strana sensazione che le sia successo qualcosa (non vorrei che facesse la fine della signora Trejo; dalla finestra si vede la tv accesa, ma la poltrona è vuota e ci sono dei vestiti eleganti sparpagliati per terra, nessuna traccia della fanciulla).

Il portiere del palazzo mi intercetta all’ingresso e mi ferma:

“Dove sta andando?”.

“Mi scusi, abito qui di fronte, al sesto, quello lassù è il mio appartamento. Vorrei salire dalla signorina Rodríguez Pastorino, la studentessa di Medicina, per favore. Sono un suo vecchio amico. L’ho chiamata prima e non mi risponde. Non vorrei le fosse successo qualcosa di grave”.

Il portiere mi fissa con freddezza e si gratta la testa.

Mi chiede se sono sicuro che in quel palazzo abiti la signorina Rodríguez Pastorino.

“Certo che sono sicuro”.

“A che piano?”.

“Al sesto, scala C, interno 12”.

Il portiere smette di grattarsi la testa:

“Ci deve essere un errore, signore. In questo palazzo non esiste nessuna scala C e non c’è nessun inquilino che risponda al nome della persona che va cercando”.

Non lo degno di un cenno di saluto. Gli volto le spalle e risalgo su al sesto. Afferro il binocolo, ma di Laura nemmeno l’ombra. Calle Muntaner si riempie di gente allegra e festosa. Non mi ero accorto degli addobbi natalizi e delle illuminazioni nei negozi. Tra poco è Natale e saremo tutti più buoni. Forse chiamo Carmen e le chiedo scusa per tutto. Forse richiamerò anche Mauro. Dopotutto, è mio fratello e non merita un trattamento del genere.

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