miércoles, abril 27, 2011

E se Dio non fosse poi così infallibile? Habemus Papam di Nanni Moretti (2011)

Premessa: sono un fan incondizionato del cinema di Nanni Moretti (a mio modesto parere, uno dei registi più bravi, colti e acuti del cinema nostrano degli ultimi 20 anni - e non è vero che è il nostro Woody Allen, o non lo è in maniera assoluta, perché il regista americano fa sempre ridere, mentre quello nostrano a volte fa anche piangere - cfr. quel piccolo gioiello che è La stanza del figlio). Ovvio, dunque, che ciò mi rende (automaticamente) poco obiettivo, quando si tratta di giudicare o valutare la qualità di un suo film. Però una cosa voglio metterla in chiaro (a me stesso) sin dall'inizio: Habemus Papam non è (come pure qualcuno ha detto e scritto in questi giorni sui giornali o su vari blog "specializzati") il miglior film di Moretti. Così come non mi sembra che sia una "pagliacciata" o un nuovo modello di "cinepanettone", né mi sembra un film blasfemo o che debba offendere i cosiddetti "rappresentanti" del mondo della Chiesa. E', invece, o mi sembra che sia una bella messa in scena di un evento verosimile che si svolge nelle mura secolari di un'istituzione anche politica come lo è (e lo è eccome) la Chiesa cattolica (o Santa Romana Chiesa) a cui capo attualmente si trova Benedetto XVI (o Papa Ratzinger che dir si voglia).


La trama: un cardinale, monsignor Melville, viene eletto papa dopo un lungo conclave e una serie di fumate nere. Melville non se la sente. E dopo una crisi che lo spinge ad urlare tutto il suo senso d'inadeguatezza, poco prima di affacciarsi su Piazza San Pietro, riesce a sfuggire alla sorveglianza dei suoi e inizia a vagare per le strade di Roma per cercare di fare chiarezza nella sua testa (quando nemmeno uno psichiatra - interpretato da Nanni Moretti stesso - è riuscito a scavare nel suo inconscio e si è limitato a dargli l'indirizzo della sua ex-moglie, fissata col "deficit affettivo"). 

L'intero film si sviluppa su questo doppio binario (o doppia trama narrativa l'una intrecciata all'altra): a) cosa faranno i cardinali rinchiusi in Vaticano e, per le leggi del rituale, impossibilitati ad avere contatti col mondo esterno e b) cosa farà il papa andando a spasso tutto solo soletto per la capitale quando nessuno sa che lui è veramente il neo-eletto papa, anche se ancora non si è mostrato in pubblico dalla solita finestra e non ha fatto il suo bel discorso alla marea di credenti accorsi in Vaticano per salutarlo.

Dunque, fermiamoci a riflettere: lo spunto è interessantissimo. L'idea è originale (o almeno, sembra tale). Sia la trama a) che quella b) danno (o avrebbero potuto dare) adito a scene esilaranti, a piccole gag, a situazioni narrativamente accattivanti. Il problema è che Nanni Moretti sembra aver messo troppa carne al fuoco e che abbia lasciato troppi fili scoperti; che non abbia saputo sfruttare al meglio una sceneggiatura come questa per fare sfoggio di tutte le sue potenzialità di regista; come se Habemus Papam (per la potenza, l'originalità, la vastità di argomenti seri e comici messi in gioco dalla doppia trama) fosse un film irrisolto (o non risolto in tutte le sue parti) e come se mancasse qualcosa a dare coesione e perfezione al tutto (anche il finale, per dirne una: sembra che arrivi in modo un po' "costruito", un po' troppo "forzato", forse anche un po' troppo "prevedibile").

Ecco, queste sono le uniche critiche che mi sento di fare a un film che, in fondo, riesce sia a far ridere sia a far riflettere (e a commuovere) per il modo in cui è impostata la doppia trama di cui sopra.

Michel Piccoli è una colonna portante del tutto: lo stesso Moretti lo ha confessato da Fazio: se Piccoli non avesse recitato così bene e non si fosse immedesimato così tanto nel suo personaggio, Habemus Papam sarebbe stato un film più povero. E si può prendere spunto dall'attore ormai quasi centenario per osservare come Habemus Papam sia anche un film sulla religione, sulla fede, sul problema di come fare per credere in Dio. 

Chi elegge un papa? Un conclave di cardinali, sì, certo; ma, in ultima istanza, è Dio a scegliere il prescelto. Può Dio sbagliare persona? Può Egli, onnipotente ed onnisciente, commettere un errore così madornale da scegliere un suo ministro che non se la sente proprio di assolvere il ruolo di "guida spirituale" del gregge cristiano? Evidentemente no, se crediamo in Lui: Dio è infallibile e non può scegliere Melville sapendo chi sia davvero Melville (una pecorella smarrita, uno che, come Bartleby "lo scrivano", nell'omonimo racconto di Melville, "preferirebbe di no").

E spostandoci dal papa ai cardinali: ma come se la passano questi benedetti cardinali? Male, o in un modo non molto diverso dal resto dell'umanità tutta (questo è quello che il regista sembra suggerirci). Nanni Moretti si diverte a fare un ritratto assolutamente umano dei cardinali: e io credo che stia tutta qui la critica della Chiesa nei confronti del film di Moretti; credo che sia tutto questo il nodo della faccenda, e cioè che è proprio perché Moretti ci mostra dei cardinali in quanto esseri umani (dotati ognuno delle sue debolezze - c'è quello che prende tranquillanti per dormire la notte, quello che ama giocare a scopa, quello più invidioso degli altri, quello più taciturno, quello più insicuro di se stesso, ecc. ecc.) che alcuni "uomini di Chiesa" si sono arrabbiati e hanno proposto di boicottare il film... Quando, invece, è proprio l'umanità il valore che il regista mette in risalto nel tratteggiare questi personaggi (e in tal senso, possiamo dire senza tema di smentite che la scenetta dell'ormai famosa partita a pallavolo è davvero un esempio di alto cinema, o di cinema di alta qualità, oltre che di grande sensibilità - evviva l'Oceania!).


Ma accanto al tema della fede e del problema del credere in una potenza divina sovra-storica, sovra-umana e assolutamente super partes, Nanni Moretti ne sviluppa altri: primo fra tutti, quello del Potere. La Chiesa è un'incarnazione del Potere (e della gestione dello stesso). Moretti, nelle vesti di psicanalista, si intrufola (o per meglio dire: viene lasciato entrare) nei meandri, nel dietro le quinte di questa istituzione secolare di Potere per svelarci che il Potere porta anche la solitudine; che chi diventa il capo assoluto può anche non essere all'altezza e dire che preferisce essere condotto piuttosto che condurre; che il Potere è una facciata dietro cui si celano segreti inconfessabili; che non sempre godere del Potere è possibile o apporta vero godimento; che forse è molto più potente chi riesce a dire: no, e a dare priorità a valori, pensieri, azioni o gesti che col Potere hanno poco o nulla a che vedere (cfr. la passione di Melville per il teatro e il suo sogno infranto di fare un giorno l'attore di teatro).

E poi c'è il tema tutto morettiano della critica (divertita) alla psicanalisi: che si presenta (ancora oggi) come una scienza, ma che (ancora oggi) sembra perdere la partita della comprensione totale e risolutiva dei conflitti che albergano nell'animo di ognuno di noi. Lo psicanalista che interpreta Moretti è "il più bravo"; eppure, sembra quasi disperarsi quando capisce che deve restare recluso dentro il Vaticano (e non è che sia riuscito a fare domande "scientifiche" sul male che perturba l'animo del papa); lo psicanalista dovrebbe curare la psiche, così come il prete l'anima dei fedeli, ma sembra che così non è, che anche lui si trova davanti a un fatto inspiegabile e poco razionalizzabile.

Possiamo allora concludere dicendo che, forse, Habemus Papam è un film sui limiti: di Dio, in quanto essere superiore ed infallibile; dell'uomo di fede (come lo è il papa che si rifiuta di fare il papa); dell'uomo di scienza (lo psicanalista che manda il papa dalla ex-moglie). Certe volte nemmeno Dio sa tutto. Certe volte siamo noi a dover fare i conti con i nostri stessi limiti e a dover contare sulle rinunce; certe volte (sembra suggerirci il regista) è molto più eroico saper dire di no e rifiutare il Potere (qualunque sia la forma che esso possa assumere). Non siamo fatti tutti per comandare. E chissà se c'è davvero qualcuno che comanda i nostri destini. O se il destino ce lo forgiamo da soli, con i nostri limiti e le nostre stesse mani...

2 comentarios:

  1. Che Woody Allen faccia sempre ridere è grossa. Basterebbe ricordare il finale di "Manhattan" e l'intero "Crimini e misfatti".

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  2. "Crimini e misfatti", che gran capolavoro! Uno dei miei preferiti... Ovviamente, conosco il lato "bergmaniano" e più cupo ed esistenzialista del cinema di Woody Allen (che ha dichiarato spesso il suo debito, la sua ammirazione e la sua incondizionata passione per i film di Ingmar Bergman), però, a differenza che con i film di Moretti, io non ho mai pianto, guardando un film dell'americano...

    Che Woody Allen faccia riflettere, oltre che ridere, è un altro punto (credo) su cui non è necessario discutere; una verità lapalissiana, no?

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