Stanley
Kubrick e me,
di Emilio D'Alessandro, ovvero: come vivere (e sopravvivere) accanto
a un genio
Comprato quasi per
caso presso l'ex MelBookStore (attuale IBS)
di
Via Nazionale, Stanley
Kubrick e me
(il sottotilo esplicita: “Trent'anni accanto a lui. Rivelazioni e
cronache inedite dell'assistente personale di un genio”, Milano, Il
Saggiatore, 2012) è un libro che mi ha profondamente colpito e
divertito ed emozionato...
E' una sorta di
diario di bordo, redatto da Filippo Ulivieri (esperto kubrickiano di
lunga data e responsabile dell'ArchivioKubrick
sul web – mai sentito parlarne prima, dovrò farci una capatina) e
“dettato” allo stesso Ulivieri dall'eroe (o anti-eroe?)
protagonista Emilio D'Alessandro, destinato a diventare l'amico più
intimo, l'aiuto indispensabile, la spalla su cui piangere, il
tuttofare disponibile 24 ore su 24, l'assistente più tartassato,
oltre che quello più rispettato, del regista di Arancia
Meccanica.
Come non provare
subito simpatia per uno come D'Alessandro? Fuggito da un paesino nei
pressi della natia Cassino nel 1960 in Inghilterra per evitare il
servizio militare obbligatorio, fa vari lavoretti per poter
sopravvivere insieme alla moglie, Janette, e ai figli piccoli.
Coltiva la sua passione per le auto da corsa, fino a quando non viene
contattato da tale Stanley Kubrick, che lo assume per fargli fare
l'autista personale (quello che, per intenderci, è chiamato a
scarrozzare i vari attori chiamati a partecipare nei film del regista
americano dall'aeroporto di Londra alla tenuta che lo stesso si
costruisce nella periferia più verde e isolata dell'Impero
Britannico).
Emilio
D'Alessandro non sa che pesci pigliare: non ha particolare esperienza
nel campo del cinema, non sa nemmeno bene di preciso in cosa consista
il lavoro del regista cinematografico. Ma comincia a stare bene,
accanto a quest'uomo corpulento e dalla barba folta che, di media,
impiega un paio d'anni per documentarsi sul film in corso e ce ne
mette altri 2 per portare a termine il progetto finito...
Stanley Kubrick
e me
è, quindi, anche questo: il racconto in prima persona di una gran
bella amicizia, quella tra Emilio e Stanley, ed è, al contempo, il
racconto che consente a noi lettori aficionados
di “entrare” nel dietro le quinte della vita di un genio, con
tutte le sue debolezze e idiosincrasie, con tutti i tic che lo
rendono, appunto, una persona “geniale” (o “fuori dalla
norma”).
Sono innurevoli
gli anedotti di vita vissuta che potremmo citare; a me sono rimasti
in mente quello che riguarda Viviane (una delle figlie di Kubrick),
giovanissima regista intenta a riprendere il papà mentre gira
Shining
(e Kubrick la sgrida – sia perché intralcia il suo lavoro con gli
attori sia perché... sta usando lenti a suo parere sbagliate!
Kubrick voleva avere l'ultima parola sempre e comunque, perfino nelle
scelte della figlia aspirante regista!) e quello che riguarda la
scena del ballo con cui si apre Eyes
Wide Shut.
Emilio è chiamato, in questo caso, a dare una mano e a ballare
accanto a una delle modelle figuranti per permettere a Stanley di
“calcolare” al centimetro la giusta distanza tra Nicole Kidman,
Tom Cruise e gli altri attori del set e la famosa “steady-cam”.
Dopo 3 ore di ballo, Emilio D'Alessandro non ce la fa più, cede la
modella a un altro e sbotta, non prima, però, di averci confessato
che quella è stata una delle serate più belle, serene e piacevoli
passate in compagnia dell'amico regista.
Genio e follia;
genio è follia. Emilio D'Alessandro ci mostra il volto umano (a
volte, umanissimo) di un regista che, se agli occhi dei media è
sempre apparso come una sorta di “orco cattivo” o “orso
solitario”, agli occhi dei futuri lettori di questo diario di
viaggio riuscirà ad apparire per quello che era in realtà: un uomo
pieno di ansie, di paure, di ansia da prestazione; uno che non voleva
mai deludere il suo pubblico e che, pur di fare buoni film, era
disposto a tutto, anche a ribaltare un'intera casa, anche a
disturbare il buon vecchio D'Alessandro alle 3 del mattino (per
chiedergli, magari, soltanto: “Dove sono i miei calzini?”).
Il libro è
“impreziosito” (come si dice in questi casi – sembra proprio
una pubblicità, sta recensione) da un bel po' di foto inedite di
Kubrick, del suo “entourage” e dei set dei suoi film più famosi
(e queste foto fanno impressione, perché – pur essendo solo
fotografie – riescono a “bucare” lo schermo della memoria e a
riattivare nello spettatore le scene dei film cui alludono).
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