Roma
vista dall’alto, ovvero: La grande
bellezza, di Paolo Sorrentino
Come più volte ho scritto su
questo blog o diario di bordo (di un “borderline”), Roma non è solo una città,
è soprattutto uno “stato d’animo”. Ma se ci pensiamo bene, lo stesso può dirsi
di Londra o di Berlino o di Madrid o di qualsiasi altra grande metropoli che ha
secoli di storia alle spalle (o nel sottosuolo).
Non ricordo più se era Julio
Cortázar a dire che “Parigi, in fondo, è una gran metafora”. E così, pure,
Ginevra, o Mosca, o Napoli…
Nel suo ultimo film, Paolo
Sorrentino trasforma Roma in una “grande metafora” e ci parla della “grande
bellezza” che essa emana e continua ad emanare nonostante i mille problemi che
la straziano giorno dopo giorno da tanti, troppi anni ormai (e non sono io né
il primo né l’ultimo né l’unico a dire che Roma, ahinoi, è molto peggiorata da
com’era dieci anni fa – o anche meno – e non solo per la delinquenza e la
violenza di strada sempre più evidenti, ma anche per quanto riguarda
l’immondizia, la sporcizia e le cartacce che la invadono ovunque, anche nel
centro storico – per non parlare dei mezzi pubblici, che la fanno sembrare un
paese del Terzo Mondo).
Di che parla La grande bellezza? Di Roma come
metafora dell’Italia, certo; ma anche di Roma in quanto città vista dall’alto.
Il protagonista del film, Geppi, uno scrittore che ha avuto la fama grazie al
suo primo e, al momento, unico romanzo, abita in una casa di lusso posta
all’altezza – nientedimeno che – del Colosseo. E molte scene del film
ritraggono Roma dall’alto. E non solo: il film ci fa vedere come vivono e come
trascorrono il tempo (come si divertono e cosa si raccontano) quelli
“dell’alto”, ovvero, tutti coloro che appartengono alle sfere sociali più
elevate e ricche e benestanti.
Geppi frequenta i salotti
buoni della capitale, quelli dove si organizzano feste privatissime e,
all’apparenza, molto trasgressive (ma è appunto tutta apparenza) e dove si
decide cosa è “in” e cosa “out” in quanto a mode, gusti e stili del momento.
Lo spettatore, dunque, compie
un viaggio dentro le ville più lussuose, i palazzi più grandi e nobiliari, le
discoteche più alla moda della Roma dei giorni nostri. Inevitabile pensare a La dolce vita, ma di una cosa sono
certo: Sorrentino avrà pure rivisto il capolavoro di Fellini, ma poi se ne è
dimenticato e ha tentato di fare un’operazione diversa.
La
grande bellezza, come qualcuno ha scritto sui giornali, è un
film proustiano, in un certo modo, perché, oltre al fatto che Geppi e compagni
non fanno altro che citare Proust, il regista ci ritrae i suoi personaggi
nobili e imbellettati come fa Marcel coi suoi amici dell’alta società.
Faccio il primo esempio che mi
viene in mente ripensando all’incipit (molto bello) del film: la telecamera ci
fa ballare in una discoteca su una terrazza che si trova dalle parte di Piazza
Barberini (sempre le terrazze, luoghi "alti" per eccellenza) e a
un certo punto si ferma su Geppi, un ralenty
ce lo mostra intento ad accendersi una sigaretta, mentre gli altri, tutti
sudati, tutti suoi fedeli amici, si danno da fare a ballare e sbraitare al
ritmo assordante della musica… e a questo punto la voce in off di Geppi inizia a fare le sue riflessioni su vita e morte,
su amicizia e ricordi, sul tempo che passa…
Mi ha colpito molto l’età
media dei personaggi: tutti oltre i 40 e molti vicini ai 70. E’ come se Sorrentino
avesse voluto parlarci della bellezza di una città fuori dal tempo (perché
vista come eterna) e della bruttezza di uomini e donne che sudano ballando e
che si dilaniano a furia di cattiverie e pettegolezzi su terrazze di un lusso
esagerato, oltre che a furia di botulino e rittocchi sulla pelle dal chirurgo estetico.
Ovviamente, Geppi non è né
aspira ad essere Proust; si accontenta di quello che ha, dei soldi che gli
permettono la bella vita e le belle donne, della fama che gli ha regalato il
suo primo romanzo fortunato e tira a campare senza troppe illusioni per il
futuro.
Dovrà essere l’intervento
inatteso di una suora che tutti presentano come imminente santa per spingerlo a
rispondere alla domanda scottante: “Perché non scrive più?”. Geppi risponde –
davanti a uno stuolo di cicogne o pellicani, non ricordo più bene – con onestà:
“Perché non sono mai riuscito a cogliere la grande bellezza”.
Risposta molto proustiana, ma
anche molto furba. E’ un alibi e una scusa per continuare a fare una vita
agiata, lontano dai problemi, anche da quelli che implica l’ispirazione
letteraria. E’ facile fare lo spettatore neutro (o a tratti anche cinico) della
vita degli altri quando si è guadagnato tanto e si gode di una casa con vista
sul Colosseo. Sarà solo dopo una tarda presa di coscienza dei suoi limiti che
Geppi tornerà a raccontare la realtà attraverso la scrittura.
E le immagini? Ecco: è qui
che, a mio giudizio, Sorrentino pecca di “virtuosismo”. Le immagini de La grande bellezza sono così belle, a
tratti, così cariche di simboli e così ben trovate che, a volte, sembrano
artificiose. Perfino la gita in barca – leggera – sul Tevere, mentre scorrono i
titoli di coda e i vari ponti che attraversano Roma sembra artefatta e fin
troppo costruita. E questo è certamente uno dei limiti di un film ambizioso e
che resterà certamente nella mente dello spettatore quando le luci si
riaccenderanno e la musica si spegnerà (la colonna sonora è sempre ottima, come
sempre nei film del Nostro).
P.S.1: Pasolini scrisse in qualche
appunto che aveva in mente di girare un film su Roma a partire dai 21 ponti che
la attraversano; Sorrentino gira un film dall’alto per farci vedere come vivono
quelli dell’alto rispetto a quelli del basso. E attraverso la figura di Geppi
ci fa riflettere sul fatto che spesso, ahinoi, la vita è quella cosa che
succede mentre siamo intenti a guardare altro. E al di là del barocchismo di
certi trucchi, diciamo che il regista riesce nel suo intento. Aiutato – questo
sì – da un sempre notevole e trasformista Tony Servillo.
P.S.2: Una curiosità che commentavo
con una mia amica: nel film si sentono spesso i gabbiani. Questa è una di
quelle magie di Roma che non sono mai riuscito a spiegarmi. A Roma ci sono
moltissimi gabbiani che solcano il cielo di giorno e di notte. E se si sta
lontani dai rumori del traffico, il verso dei gabbiani si sente nitido e
costante. Sorrentino ci trasmette questi suoni naturali che troppo spesso, a
causa della fretta, dimentichiamo o non notiamo come si deve. E uno si domanda: ma quanto dista il mare da Piazza Venezia (una delle piazze romane col maggior numero di gabbiani in volo).
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