domingo, diciembre 20, 2015

Milano (a fine Novembre)




“Le stesse cose ritornano, ma non sono mai esattamente le stesse”: così si chiudeva un post di qualche anno fa, quando frequentavo il Sud del mondo (e d’Italia) e pernottavo tra Salerno e Avellino e godevo dei panorami mozzafiato che si possono contemplare dalle colline più alte di Giffoni (sì, lo stesso paese del “Giffoni Film Festival”, Campania profonda, profondo Sud).

La citazione (auto-citazione, sarebbe meglio dire) mi torna immediatamente alla memoria pensando al mio recente viaggio a Milano: per colpa (o grazie a) un congresso internazionale ho potuto riabbracciare e rivedere le stesse persone che mi hanno aiutato ad essere ciò che oggi sono, gli stessi professori che – negli anni 90 e nei primi anni 2000 – mi hanno trasmesso la passione per lo studio e la ricerca, le stesse colleghe con le quali ho patito gli “alti” e i “bassi”, le sventure molteplici, insomma, del periodo (fatidico, duro, spietato, ma anche allegrissimo) del Dottorato (quando alcuni fine settimana decidevo di staccare il cellulare, di non controllare le email, di rinchiudermi in camera e di dire “addio” temporaneamente alla mia fidanzata per tuffarmi nella scrittura accademica del tomo di 300 e passa pagine che poi sarebbe diventata la mia tesi dottorale).

Fa un certo effetto rivederli a distanza di (almeno) 2 anni: c’è la prof. che è improvvisamente imbiancata (effetto dovuto alla dismissione dell’abitudine di tingersi i capelli di nero); c’è il prof. che si è lasciato crescere una barba bianca a metà strada tra Padre Pio e Babbo Natale; c’è la collega che prova a nascondere le rughe dietro uno spesso strato di cipria (o di ombretto o di come diavolo si chiamerà quell’intruglio che molte donne adottano per mascherare i difetti della pelle: mascara? Bah! In materia sono del tutto incompetente).

Insomma, l’effetto è molto simile a quello che constata Marcel nell’ultimo volume della sua Recherche, in una delle ultime scene apocalittiche o più strettamente malinconiche di tutta l’opera, quando, in una delle ennesime riunioni mondane, si imbatte in vecchie conoscenze e amiche d’un tempo, ormai diventate donne mature o pensionate in una fase di tracollo fisico inarrestabile… E quando poi mi fermo a contemplare da vicino certi volti acciaccati dall’azione del tempo non posso fare a meno di pensare che se loro sono così per me, se loro appaiono così malridotti ai miei occhi, allora anch’io devo apparire così per loro, anch’io devo sembrare loro molto invecchiato…anche se sono passati soltanto (si fa per dire) 2 anni…

Ed entrando in un bagno al secondo piano, guardandomi allo specchio, penso che è proprio così: sono aumentate le rughe attorno agli occhi e ne sono spuntate un paio sottili sulla fronte; ho le occhiaie scure quasi tutti i giorni (continuo a dormire troppo poco, per le ore di lavoro cui sottopongo il mio povero corpo); ho molti meno capelli di una volta, anzi, ormai le stempiature si stanno allargando a macchia d’olio alla conquista di uno spazio che, 2 anni prima, non era mai stato attaccato dalla calvizie; il naso mi sembra ingrossato; la pelle del collo mi sembra più afflosciata; la pancetta è una realtà che non posso ormai più nascondere né a me stesso né alla bilancia né alla mia cara compagna di avventure; ogni tanto mi tremano le dita della mano destra, un tremolio strano, assurdo, per me inspiegabile, che mi fa pensare al peggio…

Ma siamo a Milano, a un congresso internazionale, siamo qui per dotte disquisizioni, ma anche per rammentare i bei tempi passati e per parlare dei nostri spledidi (e sensatissimi) progetti futuri; ovvia, non ci si può abbandonare alla depressione proprio in questi 4 giorni che dura il congresso, dobbiamo ridere e sorridere, nei limiti del possibile.

E allora si va a cena tutti insieme in una sorta di navata industriale riabilitata a ristorante e sita nei pressi di Segrate o di Sesto San Giovanni (Segrate, Linate, Lombrate, Orio al Serio, Brescia, Bergamo, Milano 2, Maranello, sono tutti termini che indicano luoghi che io credevo nemmeno esistessero, perché per me erano solo nomi che sentivo pronunciare da Mike Bongiorno in televisione, e invece, caspita, esistono davvero, sono reali e mi fa impressione leggere i cartelli che ne annunciano la presenza); ci si siede coi colleghi favoriti; si ride e si scherza, qualcheduno comincia a raccontare barzellette sconcie (gli ordinari e gli associati adorano questo tipo di barzellette), qualchedun’altro, invece, anche per l’effetto del vino, comincia ad ammiccare verso la scollatura generosa del vestito di qualche altra collega più giovane, magari una ricercatrice confermata da poco, e altri ancora afferrano il microfono di uno scenario pseudo-teatrale predisposto in un angolo dell’enorme navata e comincia a cantare “O sole mio”, canzone che stona decisamente con il contesto in cui ci troviamo, perché, si sa, a Milano il sole è un fenomeno piuttosto raro, la nebbia ci circonda dalle 7 del mattino (che è quando ci si alza) fino alle 17 del pomeriggio (che è quando a Milano il sole tramonta, almeno ora, che siamo a fine Novembre, dopo, chissà, sparirà ancor prima).

Milano è enorme, come Roma, ma è decisamente meno ospitale di Roma; non ci sono panchine per sedersi o rilassarsi, o almeno, io non ne ho viste (sì, ci sono almeno due grossi parchi in città, due polmoni verdi in cui è possibile fare sport o farsi anche una pennichella, ma da Sesto San Giovanni alla Stazione Centrale non ho trovati molti angoli adatti al relax); la gente è molto più cupa e stressata e meno sorridente che nella capitale; rispuntano i soliti pregiudizi e un docente sul punto di andare in pensione fa la solita battuta: “La Borsa a Roma non potrebbe mai fuzionare, è per questo che l’abbiamo qui da noi”. E comincia con la solita solfa: Roma ladrona, nessuno paga le tasse, tutti evadono il fisco. Gli racconto di mio fratello che è avvocato e ha uno studio vicino a Piazza Cavour e del fatto che, a quanto dicono le statistiche, gli evasori fiscali del Nord si equivalgono quasi a quelli del Sud e del Centro. Ci guardiamo in cagnesco; non credo che voti Lega ma già mi sta sulle palle e io a lui, l’antipatia è reciproca e si tasta nell’aria. Una mia amica, ricercatrice confermata di Vercelli, cambia argomento. Iniziamo a criticare questa mania di addobbare le città con le decorazioni natalizie quando manca ancora un mese al Natale. Progetto per l’indomani una spedizione alla Coop. Anch’io sono contrario agli addobbi natalizi anticipati. Ma quando varco la soglia del supermercato mi rendo conto di quanto mi manchi l’Italia (questo paese assurdo pieno di bellezza e pieno di difetti ancestrali che sembrano incurabili e quasi inevitabili): sniffo il Caffè Lavazza; soppeso le mozzarelle di bufala campane doc; tocco tutti i triangoli di Parmigiano Reggiano che mi è possibile toccare senza dare nell’occhio; guardo estasiato le cataste di pandori e panettoni, assaporando in anticipo il piacere che proverò a tornare dai miei per la Vigilia…

Si invecchia, ma certi vizi non ci abbandonano mai; fanno parte di noi; sono parte del nostro bagaglio e del nostro DNA.

Ci riabbracciamo con la promessa di rivederci al prossimo congresso internazionale; questa volta Sud, per favore, sussurra un’amica bionda originaria di Cassino; e un’altra le fa eco: Napoli! Oppure la Sicilia! Io voto Palermo o Catania…


Ci diamo la mano; ci diciamo d’accordo; ci allontaniamo, chi in direzione di Orio al Serio, chi di Milano Linate, chi della Stazione Centrale. Ognuno torna ai suoi posti di combattimento. Io torno in Spagna, con la sensazione di aver lasciato qualcosa di prezioso nella capitale del Nord e con la voglia di tornare a sentire il dialetto abruzzese del paesino in cui sono nato, con la voglia di tonare ad assaporare l’aria di casa…

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