jueves, mayo 05, 2016

Occhi verdi (quelli di Don Chisciotte)




“Después de todo, nada sabemos del color de los ojos de Don Quijote… ¿Serían, quizás, verdes? Verde era, al parecer, el color favorito de Cervantes”.

Ecco: è questa la domanda che si pone il recente Premio Cervantes del 2015 Fernando Del Paso (messicano) nel bel mezzo di un suo brillante saggio su Don Álvaro Tarfe, un personaggio che appare nel Quijote apocrifo di Avellaneda (pubblicato nel 1614) e che poi Cervantes, l’autore originale, il vero “inventore” del Chisciotte, reintroduce nella sua Seconda Parte del 1615 (obbligando il Don Álvaro Tarfe dell’autore apocrifo ad – addirittura – firmare davanti a un notaio che sì, che quello che ha davanti è il vero Don Chisciotte, non come quell’altro, quello “finto” che parla e che agisce nel romanzo “di seconda mano” (creando così Cervantes un cortocircuito ambiguo e modernissimo intorno ai due personaggi e ai concetti di “verità” e “finzione” così come si configurerebbero sia nel mondo del romanzo sia in quello della realtà).

Traduco la domanda in italiano: “In fin dei conti, non sappiamo nulla del colore degli occhi di Don Chisciotte… Saranno stati forse verdi? A quanto pare, il verde era il colore favorito di Cervantes”. 

E questa domanda mi spinge a riflettere su quante poche volte certi autori ci offrano questa informazione: il colore degli occhi dei loro personaggi principali (essendo gli occhi lo specchio dell’anima). E mi ricorda subito quest’altra osservazione, da parte di una collega, durante la pausa del caffè, davanti alla macchina distributrice del caffè (marca italiana: per 0,80 centesimi si può bere un caffè degno di questo nome e non la solita acqua annerita): “Ma hai gli occhi verdi, non l’avevo mai notato prima, sai?”, mi fa, guardandomi dritto negli occhi (lei ce li ha marroni, o castani, per dirla in modo più elegante, come i suoi capelli, ricci, folti, tanti, belli e che fanno subito venire in mente quel detto: “Ogni riccio un capriccio”).

Parla benissimo l’italiano: ha un diploma che certifica un livello C2; in effetti, se non fosse per l’accento (per quel suo modo particolare - tutto ispanico - di pronunciare certi gruppi consonantici, come le “sp” o le “st” davanti a vocale) potrebbe passare per italiana. Fisico possente, corpulento, ma non grasso, camminata da Amazzone, vista da lontano (o da dietro) potrebbe ricordare Maria Grazia Cucinotta. Glielo faccio notare con garbo e lei sorride (un sorriso ampio, denti bianchissimi, labbra molto carnose, occhi intensi e portamento sensuale da donna del Sud, una mediterranea come Dio comanda) e mi dice che sì, che gliel’hanno già detto, parecchie volte, soprattutto in Italia…

Le chiedo dove è stata; mi risponde che è da quando ha 15 anni che viaggia per la Penisola, soprattutto Roma, dove ha alcuni parenti (in Vaticano), e poi anche Venezia, Firenze, Milano, Napoli, la Sicilia (ah, Palermo, e Catania, ah, che belle città!).

Ecco perché parla così bene l’italiano, accidenti: altro che diploma, questo è italiano che nasce dal contatto diretto con la cultura e i parlanti del luogo! Ma soprattutto Roma, lei ama, lei adora, lei agogna Roma (uno dei suoi sogni sarebbe poter vivere di fronte al Castel Sant’Angelo). Mi narra delle sue scorribande per la Città Eterna; mi descrive monumento e chiese in cui io non sono mai entrato (nonostante abbia trascorso 10 anni a Roma e ci torni in modo costante almeno 3 volte all’anno, ora che vivo qui); mi fa vedere, con gli occhi della mente, i posti che devo assolutamente visitare, prima di morire… Mi presenta l’immagine di un viaggio a due, per girare come si deve tutto il centro storico… Il suo sorriso diventa ancora più allegro; ogni tanto ci scappa una battuta; ogni tanto la malinconia prende il sopravvento; ogni tanto ci si consola al pensiero che, entrambi, prima o poi, torneremo ad atterrare a Fiumicino (o a Ciampino).


Poi la ferrea legge dell’orario di lavoro ci obliga a separarci. Ci diamo appuntamento al prossimo caffè (non si sa quando né a che ora di preciso). 

Che occhi aveva Don Chisciotte? Nessuno (quest’anno in cui si celebra il quarto centenario dalla morte di Cervantes, con molta scarna e scarsa pubblicità, qui in Spagna) si è posto una domanda simile; nessuno ci ha pensato a fare questo tipo di domande (Fernando Del Paso se la faceva nel 2004, quando mancava solo un anno al festeggiamento dei 400 anni dalla pubblicazione della Prima Parte del Quijote). Mi domando se la mia collega l’abbia mai letto tutto il Quijote. Mi domando se davvero torneremo ad incontrarci e a vederci per parlare di libri, di città, dei monumenti di Roma e di quelli di Madrid. Per parlare di noi. Dei nostri gusti. Delle nostre paure. Dei nostri orari maledetti. Della voglia di viaggiare.

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