martes, mayo 10, 2016

Fasi inenarrabili (o indescrivili a parole)



“Los acontecimientos que experimentamos sobrepasan los límites del lenguaje”: è una citazione che appare nel libro (un “mattoncino” di quasi 600 pagine) Una historia natural de la curiosidad (Madrid, Alianza, 2015) di Alberto Manguel, un lettore inquieto e onnivoro che, anni fa, ci ha regalato (a noi lettori “insaziabili” e “curiosi”) uno dei più bei saggi che abbia mai letto sulla lettura, ovvero, Una historia de la lectura (apparso in Italia da Feltrinelli, nel 2009, con lo stesso titolo).

Traduco: “Gli avvenimenti che sperimentiamo oltrepassano i limiti del linguaggio”. È una frase dal tono aforistico in cui tutti possiamo vederci rispecchiati. In effetti, è proprio così: ci sono episodi che abbiamo vissuto in passato, o eventi che viviamo nel presente, o cose che potrebbero succedere in un orizzonte prossimo venturo che ci lasciano letteralmente “a bocca aperta” e “senza parole”; cose, eventi o episodi che è davvero complicato (quando non impossibile) trasmettere a parole con il linguaggio verbale (e la mente corre a Wittegenstein e a quella famosa frase – dal tono lapidario e non sempre condivisible – che dice: “Su ciò di cui non si può dire, si deve tacere”, dal Tractatus Logico-Philosophicus: la letteratura è possibile proprio perché non tace e tenta di dire ciò che non si riesce a dire a parole…ma torniamo a bomba).

Uno di questi eventi (o cose o avvenimenti) è l’amore, o meglio, l’innamoramento: quella fase in cui ci sentiamo attratti da qualcuno e non facciamo che concentrare la nostra mente, i nostri pensieri, le nostre paure, i nostri progetti in questo qualcuno (entrato all’improvviso all’interno della nostra vita per sconvolgerne i ritmi e allargarne gli orizzonti).

È una fase stramba e strana, quella dell’innamoramento, perché, in realtà, quando lo si vive non si sa bene in che situazione ci si viene a trovare, è una fase delicata in cui perdiamo di vista la “routine” che applichiamo tutti i giorni alla nostra vita quotidiana e in cui le nostre energie le sprechiamo (le dedichiamo totalmente) al “soggetto” divenuto “oggetto” dei nostri desideri (a volte “oscuri”, per parafrasare il titolo di un vecchio e geniale film di Luis Buñuel).

All’improvviso, il lavoro, la palestra, gli amici, il cinema, tutti quei riti che fanno parte della cosiddetta “routine” saltano in aria, esplodono, si frantumano, per lasciare spazio alla “novità”, a quell’ “oscurso oggetto del desiderio” che, appunto, ci attrae e ci attira a sè, con una forza, una prepotenza, un’esclusivismo che ci rendi succubi dello stesso (siamo “desiderio ambulante”, come pupazzi che si muovono grazie al desiderio stesso: desiderio irrefrenabile di vedere quella persona – quanta importanza ha la vista nella fase dell’ “innamoramento”! – e di sentir parlare quella persona – la sua voce ci diventa improvvisamente indispensabile e stranissimamente musicale – e di toccare, di abbracciare, di baciare – quando si arriva addirittura al bacio – di annusare quella persona, come se esistesse solo lei nell’Universo e come se, repentinamente, tutti gli altri non contassero più nulla).

Ecco, in questa fase, ripeto, quella cosiddetta dell’ “innamoramento”, diventiamo talmente succubi del desiderio (di stare accanto alla persona che ci scatena e ci rivoluziona tutti gli istinti animali, che ci rende subito suoi “schiavi”) da non renderci conto del fatto che ormai il dado è tratto, i giochi sono fatti, rien ne va plus, siamo “spacciati”, non si può più tirare il freno a mano, ci si lascia andare, sarà quel che sarà, diventiamo malleabili, manipolabili, a volte, addirittura, egoisti verso tutti quegli altri esseri umani che non sono – che non coincidono – con la persona che ci ha fatto innamorare di sè… E non esiste più “routine”, e non esiste più razionalità, e non esiste più la vita così come la concepivamo prima dell’ “innamoramento”.

Cosa fare in quei momenti (particolari) di perdita delle coordinate razionali e spazio-temporali standard? Non ho (ancora) trovato una risposta a questa domanda. Continuo a fare le mie ricerche; continuo a guardarmi dentro (e, quindi, a tentare di applicare il mandato di Socrate: “Conosci te stesso”) e, però, non so ancora come descrivere (a parole, per tornare al ragionamento di cui supra) quello che (ci) succede quando ci s’innamora… Ben strano fenomeno; ben stramba fase che dura quello che dura e che non sappiamo se e quando finirà; ben complicato mistero che (forse) nessuno di noi riuscirà (mai) a risolvere (o a sbrogliare).

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