martes, octubre 30, 2018

Quando qui piove


Non piove quasi mai qui; quando qui piove è un evento, le persone si affacciano alla finestra spaventate; gli automobilisti non sanno più come si guida; i pedoni saltellano sulle pozzanghere con la speranza di non sporcarsi.

Quando qui piove mi vengono in mente le lunghe giornate d'inverno del mio paesino arroccato sui monti abruzzesi; l'odore del legno che arde nei camini; il profumo della carne cotta arrosto sulla brace; gli arrosticini e le salsicce; le patate al forno della mamma...

Si paralizza tutto, quando qui piove; e se qui piovesse come sta piovendo ora in gran parte dell'Italia, semplicemente, la città andrebbe in tilt (come dicono i giornalisti dei vari tg nostrani) e i cittadini andrebbero in crisi e si rinchiuderebbero per sempre dentro le proprie case, convinti che sia solo l'inizio dell'Apocalisse così come la narra Giovanni.

E quando piove mi viene in mente John Cheever, che ha scritto un racconto che s'intitola "Il rumore della pioggia a Roma" e che io - assurdamente - non ho ancora letto (ma so che esiste, anche se non appare nella raccolta dei Racconti che ho comprato alla vigilia di Natale del 2014; scorro di nuovo l'indice e no, niente, non appare "Il rumore della pioggia a Roma", anche se sì, c'è un racconto che evoca (o ri-evoca) Roma e s'intitola (in inglese) "Boy in Rome" e comincia così: "Roma. Piove mentre scrivo. Abitiamo un palazzo con il soffitto d'oro, il glicine è in fiore. Il rumore della pioggia a Roma impercettibile"...e allora è ovvio, è normale, è logico che uno si domandi se questo racconto abbia qualcosa a che vedere con l'altro, se siano lo stesso racconto o se siano due storie diverse, ed è anche normale - forse - andare a cercarlo su internet e accorgersi che sì, che c'è proprio un libro che s'intitola Il rumore della pioggia a Roma, e lo pubblicarono i tipi di Fandango nel 2004 (79 pp.), raccogliendovi - evidentamente - tre racconti che Cheever ambienta a Roma, dove visse per un periodo della sua vita; leggo perfino i commenti degli utenti di IBS a questo libro ed una utente che si autonomina "L'aggiornalista" lascia questo commento che mi lascia di stucco e mi commuove e mi fa tenerezza, perché mi ci riconosco a pieno, un riflesso di ciò che penso anch'io di Roma: 

"Qual è la città alla quale apparteniamo? Quella dove nasciamo? Quella in cui viviamo da giovani? Io penso che la città cui apparteniamo sia quella che ci ruba il cuore. E a rubarmi il cuore, tanti e tanti anni fa, è stata Roma. Nel corso del tempo ci sono tornata tante volte. Di passaggio, in vacanza o per starci un bel po' ". 

Come non essere d'accordo con "L'aggiornalista", come?!).

E poi, quando qui piove, mi vengono in mente tutte le persone che ho lasciato in Italia, la nostalgia che ho provato (e sono solito provare) a ridosso del Natale e delle altre feste comandate; la malinconia per certi luoghi in cui sono stato felice; il giorno in cui, proprio dall'Italia, e proprio dopo aver letto alcuni racconti di Cheever, mi riproposi di scrivere una lettera ad Adelaide Cioni, la traduttrice meravigliosa dei diari, oltre che di alcuni dei racconti e dei romanzi di Cheever, perché mi trovavo totalmente d'accordo con il suo punto di vista, con la sua personale interpretazione della scrittura e della letteratura di John Cheever (ma poi desistetti, perché non trovavo l'email, né riuscivo a distinguere se l'Adelaide Cioni che cercavo fosse la traduttrice dall'americano per Einaudi e Feltrinelli o l'artista - pittrice e scultrice - che esponeva in Umbria e in altre città straniere e non immaginavo che potessero essere la stessa persona...); eccola, la frase che sottolineai nella post-fazione de I Racconti di Jon Cheever (Milano, Feltrinelli, 2014, p. 826): 

"Perché noi siamo incoerenti: cambiamo idee e simpatie, tradiamo, ci rinnamoriamo. Non siamo monolitici nel nostro sentire e agire. Se lo fossimo il mondo sarebbe immobile. Il problema è dirlo, ammetterlo, e dopo averlo ammesso raccontarcelo. E raccontarcelo in modo da farlo apparire verosimile".

Adelaide, se ci sei, batti un colpo, per favore...

E poi, quando qui piove, penso anche al futuro (non di solo passato è fatto l'uomo): agli articoli da finire o da adattare alle norme editoriali (ogni rivista ha delle norme sue tutte speciali, ditelo che lo fate apposta, ditelo che lo fate per scoraggiare chi vuole pubblicare, ditelo che sarebbe tutto molto più facile se tutte adottaste le stesse norme), ai progetti da portare a termine (e dopo Budapest, sarà la volta di Liverpool), alle proposte che ci fanno gli amici (e allora a te toccherà presentare I mostri di Dino Risi in uno dei cinema storici di questa città, il punto di ritrovo dei cinefili di questa città), ai lavori da portare a termine, ma non se ne ha la voglia, e a quelli che uno sa che li coltiva proprio perché sa che non li finirà mai (come quell'assurda idea di scrivere un romanzo alla John Cheever...).

No hay comentarios:

Publicar un comentario

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...