A Roma esiste una via che si chiama Via Omero. Non conduce ad Itaca (sorriso spento; ironia laconica), bensì all'Accademia di Danimarca. A questa si affiancano altre accademie; tutte ruotanti intorno al Museo di Arte Moderna e alla Facoltà di Architettura di Valle Giulia. C'è quella egiziana; quella belga; quella rumena; quella olandese; quella svedese. E, appunto, quella danese.
E' qui che pernotta Jens, uno dei miei migliori amici dai tempi dell'Università di Pisa. L'aria che si respira all'interno dell'Accademia è alquanto sinistra (da fuori, di fatto, sembra una specie di obitorio: linee rette orizzontali e verticali che s'incrociano in modo geometrico, sembra il luogo ideale in cui girare un film horror, o alla Dario Argento), ma Jens, col suo umorismo, ti mette subito a tuo agio. Le luci dei lunghi corridoi sono fioche, quasi impercettibili. Tanto che fanno molta più luce (e aiutano lo sprovveduto visitatore a non inciampare per le scale) i lampadari enormi che pendono dal soffitto delle stanze dell'Accademia più vicina (quella svedese). Io lo seguo: Jens è un filosofo, esperto di Kierkegaard e dell'esistenzialismo. E' uno dei primi traduttori dall'italiano delle opere di Gianni Vattimo seebbene non sia sempre d'accordo con Vattimo (e col suo pensiero debole). Anzi: ha da poco pubblicato la versione danese de Il futuro della religione e in un appendice di 40 pagine critica molto la posizione che sia Vattimo che Richard Rorty espongono riguardo alla religione e alla laicità e al rapporto tra le due sfere. Mi mostra un mucchio di ritagli di giornale: mi spiega che sono le recensioni che ha ricevuto il libro e tutte concordano nell'elogiare le critiche del curatore e nel criticare le posizioni dei due protagonisti (Jens sorride; è orgoglioso e fa bene, io farei lo stesso, ricevessi di simili complimenti).
Poi decide che è ora di andare a cena. Siamo sempre immersi nel buio e per spostarci dal secondo al primo piano, ci lasciamo guidare io dalla sorte, lui dall'olfatto e dall'abitudine. Dice che ama passeggiare in Accademia di notte, anche nelle ore più tarde, quando non riesce a dormire e fa prendere degli spaventi o piccoli infarti agli altri ospiti o borsisti suoi conterranei. La cucina è in perfetto stile Ikea (l'hanno inventata loro, d'altronde: non poteva essere diversamente) e c'è già qualcuno che mangia. Jens mi presenta due fanciulle (bionde, com'è ovvio) che rispondono ai nomi di Lette e Gilde. Qui sono tutti artisti: Lette è violinista, Gilde ha da poco pubblicato un romanzo. Ma poi ci sono anche un cantante d'opera; una scultrice; uno studioso di storia romana; un fotografo, etc. Sembrano un'allegra famiglia allargata. Ridono e scherzano fra di loro e quando parlano tra di loro mi lascio cullare dai suoni di una lingua a me ignota. Potrebbero dirsi anche le cose più assurde, io non mi accorgerei di nulla.
Jens è di quelle persone che parlano di filosofia anche a cena, ma senza annoiarti mai. Una delle due ragazze chiede di cosa stiamo chiacchierando. Jens le risponde che si tratta di Luigi Pareyson (e della traiettoria che hanno preso Umberto Eco e Gianni Vattimo a partire dagli stessi saggi del loro maestro). La ragazza (non ricordo più se è Gilde o Lette) fa una smorfia che significa: "che noia!" o anche: "che palle!". Non la biasimo. Jens ride. Poi mi offre un bicchiere di un liquido caldo fatto di vino rosso, bacche, cannella e more. Dice che è un liquore tipico delle feste natalizie. Mi fido: sa di amarena. Potrebbe ricordare vagamente una sangria. Scende che è una bellezza e per me, tornare al secondo piano, diventa un'impresa. Jens vaga per i corridoi con la sua vista da pipistrello e io lo prego di aspettarmi. Jens ride. M'indica un'ombra. Dice che potrebbe essere un fantasma. La cosa non mi piace affatto. Poi ci infiliamo in camera sua. Mi lascia guardare la posta elettronica. E mentre mangia un arancio, parliamo del saggio di Massimo Cacciari che parla Dell'inizio. Ci ho provato a leggerlo, ma è troppo per le mie capacità. Jens mi spiega che è molto neoplatonico nello stile e nella strutturazione interna. Ci sono dialoghi che non sono dialoghi. C'è un tipo che insegue altri due tipi e non si sa se camminanoo all'indietro (o in avanti) verso comunque quello che tutti dicono essere "l'inizio". Ma è davvero tale?
Fuori fa freddo. Attraverso parte di Villa Borghese, tra alberi giganti e prati pieni di foglie morte. Jens è un filosofo che crede nell'amore. Mi ha confessato che le piacerebbe avere una conoscenza diciamo "biblica" con Lette (o è Gilde?). Peccato però che sia fidanzata e lui non è proprio il tipo da rompere coppie stabili o "entrare nel nido di un altro" (testuali parole; penso che l'espressione è molto efficace, oltre che molto metaforica).
Jens è il filosofo con cui mi confido quando cerco un senso a ciò che mi preoccupa o che non capisco. Anche se lui non dà mai risposte certe. Arrivo a Piazza del Popolo. Jens a quest'ora starà girando da solo come un pazzo per i corridoi dell'Accademia. Al buio, per spaventare gli altri connazionali e spiegare loro che un senso proprio non c'è. Anche se è ancora bello credere nell'amore. "Non ti sembra incredibile?". "E' incredibile, ma fai bene". "Anche se ormai sono vecchio per certe cose". "Ma no, che non sei vecchio. Anzi". "Ma secondo te le piaccio? Le interesso?". "Ho visto che ti guardava con occhio interessato, sì. Direi proprio di sì. Dai, fatti sotto".
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