Blow up: chi guarda chi (con Coppola "al fondo")
Sono trascorsi circa 10 anni dall'ultima volta che ho visto Blow up (1966) di Michelangelo Antonioni. Ne avevo un riccordo diffuso e sfocato. Ricordo che all'epoca non capii molto del film, ma che quando arrivai al finale rimasi di sasso, come davanti a una rivelazione (una sorta di epifania - nel senso "joyciano" e affatto cattolico del termine). In 10 anni si cambia. Non siamo più gli stessi; abbiamo letto più libri, ci siamo fatti una cultura (come dicono alcuni), anche il cinema non è più lo stesso (di quello di prima; quando, ad esempio e per restare solo in Italia, giravano registi come Fellini, Pasolini, Rossellini, Vittorio De Sica e Dino Risi). Anche il pubblico è cambiato: oggi esistono cellulari che ti permettono di vedere un film su un micro-schermo a cristalli liquidi (nutro dei dubbi sull'efficacia di una simile visione miniaturizzata, comunque, è un fatto, qualcuno li ha inventati e messi in commercio, quindi, penso, ci sarà sicuramente qualcuno che acquisterà il cellulare col mini-schermo incorporato per vedere film in micro-formato quando e dove vuole). Le telecamere sono a ogni angolo della strada e ci osservano (non per forza di cose si tratta di spionaggio) mentre facciamo la spesa, paghiamo le bollette, ritiriamo soldi dal bancomat o facciamo l'amore con l'amante di turno nell'hotel vicino alla stazione. Nel '66 il fenomeno "grande fratello" doveva essere ancora ai suoi primordi (quanto fu profetico George Orwell con 1986 lo scopriamo solo oggi). E comunque questo film mi fa venire in mente un altro capolavoro della storia del cinema, The conversation (1974) di Francis F. Coppola. Se Blow up è un film sul cinema e sul vedere (quindi sulla fotografia, sull'immagine, sull'immagine catturata da un obiettivo, per dirla in soldoni), il film del regista de Il padrino è un'opera che ci fa riflettere sul cinema e sull'ascoltare (quindi sull'atto di captare suoni, attraverso un microfono, una microspia, un buco della serratura o una parete di casa nostra). Antonioni prende spunto da un famosissimo e ormai classico racconto di Julio Cortázar che s'intitola Las babas del diablo e ci conduce per mano lungo la discesa agli inferi di un fotografo di moda che scopre per caso un omicidio fotografando una coppia di amanti in un parco. Coppola prende spunto non so se da un romanzo o dalla cronaca nera del suo paese per mostrarci la progressiva discesa verso la follia di un agente della C.I.A. (o dell'F.B.I.?) che capta e registra quasi per caso in una piazza trafficatissima la conversazione di due amanti che decidono di ammazzare il marito di lei alla tale ora nel tale luogo. Ripeto: sono due film sul cinema, perchè entrambi (anche se ognuno a modo suo) non smettono di presentarsi come metafore esplicite sull'atto del guardare e dell'ascoltare (anche se il primo spinge l'acceleratore sul pedale dell'apparato visivo e il secondo su quello dell'apparato sonoro).
Dal momento in cui David Hammings sviluppa i negativi delle foto scattate al parco non sappiamo più se quello che vediamo è reale. E se quello che abbiamo visto attraverso il punto di vista del fotografo sia davvero successo (dubitiamo con lui, insieme al protagonista). Un problema diverso è quello che deve risolvere Gene Hackman nel film di Coppola: se Hammings scopre un cadavere ingrandendo la foto ("blow up" vuol dire questo: "ingradire"), Hackman teme di rinvenire il cadavere dell'ignaro marito cornuto in un bagno di una stanza d'albergo. Ciò che ci colpisce è che entrambi si trovano costretti a fare i conti con la realtà e con la versione della realtà di cui essi sono stati gli unici testimoni. Di qui il bisogno per entrambi di "certificare" che quanto visto (e sentito) è davvero accaduto; che non è stato solo un sogno (o un incubo) e che non si sono inventati nulla. Hammings chiede a un amico di accompagnarlo sul luogo del delitto; Hackman fa tutto da solo ed entra nel bagno incriminato. Risultato: il primo non trova più il cadavere (che la notte prima aveva rinvenuto seguendo proprio le coordinate spaziali evidenziate dall'ingrandimento) mentre il secondo finisce preda delle allucinazioni (e immagina di vedere sangue che fuorisce tempestosamente dal water del bagno). Chi ha visto cosa? Chi ha sentito che?
Blow up si chiude in modo enigmatico. Hammings assiste insieme a un gruppo di artisti da strada a una partita immaginaria che due mimi "giocano" per il pubblico. Hackman torna a casa e scopre di essere spiato (lo "spione" spiato, o il gatto che si morde la coda) e finisce col mettere a soqquadro la casa pur di scovare la cimice nascosta dai suoi colleghi (dai nemici? Dal Governo? Chi si è reso colpevole dell'uccisione di quell'uomo? I due amanti o lo Stato stesso che sapeva e ha taciuto?). La responsabilità del vedere e quella dell'ascoltare. In una parola sola: la responsabilità di sapere. O di venire a sapere.
Prima di ogni azione volontaria (prima del suo scatto al parco; prima della registrazione furtiva di quella conversazione privata), nessuno dei due protagonisti sospetta nulla di nessuno. Basta soffermarsi un momento sulla realtà; basta voler andare a fondo nell'analisi di quanto vediamo e sentiamo; basta saper ingrandire (o riascoltare attentamete) perchè quella stessa realtà (all'apparenza banale e priva di sorprese) si trasformi in un mistero da svelare. E' questa stessa tematica a spingermi ad accostare due film così simili eppure così diversi. E a farmi riflettere su un fatto: chi si avvicina troppo a una porzione della realtà e prova a indagarla a fondo rischia di perdere la percezione stessa del reale e di finire in un vortice senza fine. Il punto è che vorremmo sapere tutto e risolvere ogni enigma. Aspirazione ancestrale che se da un lato ci ha permesso di evolverci dall'altro ci ha portato alla morte. E' questo il caso dell'Ulisse dantesco del XXVI canto dell'Inferno (chi troppo vuole nulla stringe); è questo il caso di Don Quijote, che dopo aver inscenato una vita da romanzo, finisce col tornare a casa sua e morire da cristiano (con buona pace del lettore che si era ormai affezionato ai suoi discorsi assurdi). La giusta distanza (da cui guardare) e capire chi guarda chi e chi ascolta cosa. Questa è la cosa più difficile da conquistare in questa vita.
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