viernes, noviembre 07, 2008

Sebald e le vertigini del trasloco (l’ulteriore)....

Scrivo su una mini-scrivania traballante degli anni 50 all’interno della nuova casa, in zona residenziale, con vista sul Duomo, anche se di sguincio (dal balcone della camera da letto). La casa è circondata dalle impalcature; stanno rifacendo la facciata (i muratori si affacciano dalle finestre; ogni tanto curiosano; io li guardo male e loro tornano a lavoro; mi sembra di essere in carcere). La casa è vecchia, dicono sia stata costruita nel 1936, allo scoppio della Guerra Civile spagnola…

 

Leggo il mio primo libro in questa stanza che diverrà studio e biblioteca (per ora è sguarnita, la polvere regna sovrana in ogni dove, le tarme fanno merenda su questa traballante scrivania briccona). E’ un racconto che ha il titolo italiano: “All’estero”. E’ dell’ammirato e compianto W. G. Sebald; fa parte della raccolta significativamente intitolata Vertigini. Nel racconto succitato il narratore (che sembra coincidere con l’autore – anzi, forse è proprio lui, a giudicare anche da una foto segnaletica “citata” esplicitamente all’interno della narrazione per dare a questa maggiore “veridicità” – o effet du réel) ci racconta di un suo viaggio in Italia, dall’Austria (o era dalla Francia?) a Verona, passando per Desenzano e non ricordo più quale altro paesetto sulle rive del lago di Garda (fa una puntatina anche a Padova; e a Venezia, sì, c’è anche Venezia e le sue calli). A un certo punto, proprio a Verona, il povero viaggiatore sceglie di entrare in una pizzeria: “Pizzeria Verona”; è il 5 novembre (come oggi), ha fame, entra, anche se si accorge che il posto ha un aspetto poco raccomandabile:

 

Ma ormai ero seduto su una seggiola di plastica rossa marmorizzata davanti a un tavolino traballante in una spelonca tutta coperta di reti da pesca. Muri e pavimento erano di un orribile blu mare, che annientò in me qualsiasi speranza di riveder mai più la terra ferma.

 

L’angoscia aumenta alla vista del tipico quadro raffigurante una nave che sta per affondare nel maroso. Per distrarsi, il protagonista si mette a leggere la pagina di cronaca nera del giornale che ha comprato il giorno prima e la sua attenzione viene attirata da un articolo in cui si elencano una serie di omicidi irrisolti la cui responsabilità, forse, è da attribuirsi a una misteriosa banda terroristica che si firma (in caratteri runici) “Organizzazione Ludwig”. La tensione aumenta, il narratore suda freddo e smette di mangiare la pizza, fino a quando il cameriere gli porta il conto e legge il nome per esteso:

 

Pizzeria VERONA, di Cadavero Carlo e Patierno Vittorio… Patierno e Cadavero… Brividi di paura, mentre leggo e ripercorro con la mente il tragitto dei ricordi di Sebald in Italia.

 

Passa il tempo, arriviamo al 1987 ed esattamente 7 anni dopo, il narratore torna a Verona e si trova a passare davanti alla macabra pizzeria. L’insegna c’è ancora, ma di Cadavero e del suo socio non ci sono più tracce. La pizzeria è fallita; forse ha chiuso per trasloco; non lo sappiamo. Di certo, però, sappiamo che è esistita. Una foto, che il narratore-viaggiatore fa scattare ad una turista americana perché lui si è scordato la sua macchina fotografica a casa, sta lì a testimoniarcelo (p. 117 dell’ed. Adelphi della traduzione italiana – ottima, a cura della bravissima Ada Vigliani).

 

La cosa più paurosa di questa foto sono le finestre del secondo piano; le persiane sono chiuse, direi quasi ermeticamente chiuse, eppure è impossibile non ipotizzare che lì dietro si nasconda qualcuno, forse Cadavero, forse Patierno, forse entrambi i proprietari del locale, ormai diventati due fantasmi che spiano questo viaggiatore incallito che è tornato sul luogo del delitto e si azzarda a scattare una foto della loro pizzeria.

 

Altra curiosità: all’altezza dell’ingresso si distinguono nitidamente due donne, due passanti abbigliate secondo gli usi e costumi dell’Italia anni 80; la prima (quella che cammina da sinistra) è una mora molto riccia con una gonna a fiori e una borsona di paglia; sembra tranquilla, come se stesse per andare al mare; la seconda, invece (quella che viene da destra e sta per incrociarsi con la prima), sembra una donna più matura, ha i capelli pettinati secondo la moda classica delle signore borghesi anni 70, anche lei ha la gonna lunga e indossa una paio di scarpe eleganti con leggero tacco a spillo. Nessuna delle due anonime camminanti sa nulla della Pizzeria Verona; nessuna delle due guarda l’insegna del locale né sospetta nulla o si preoccupa di alzare lo sguardo verso le due finestrone del secondo piano dietro le cui persiane potrebbero nascondersi due anime malvagie.

 

Continuo a leggere, ridendo alle spalle di Sebald quando complica la narrazione raccontando del suo smarrimento del passaporto. E’ curioso vedere come ci vedono gli altri, gli stranieri. Noi italiani sembriamo ligi al dovere anche quando sembriamo lavorare nel caos.


Continuo a leggere dentro questo studio che sarà futura biblioteca domandandomi chi ha abitato questa casa prima di me, prima di noi due (io e Alyssa). Sorta nel 1936, queste mura devono averne viste di tutti i colori; e chissà quanto dolore, quante lacrime sono trattenute dentro questo appartamento. Chissà quante risate, anche, e quante esclamazioni di gioia, di esultanza, di allegria…

 

La padrona di casa ci ha confidato un segreto; la casa si è liberata un mese fa (esattamente il 5 settembre scorso) perché la giovane coppia che ci viveva è stata costretta a trasferirsi dopo soli 9 mesi e a tornare a Padova (la casa di lei) dopo che lei ha scoperto e confessato al suo lui che era rimasta incinta.

 

Smetto di leggere. Mi accendo una sigaretta. Spengo la tv e mi reco in camera da letto. Chissà quanti gridolini di piacere, quante lacrime, quante risate devono aver assorbito queste mura, dal 1936 a oggi…72 anni di vita vissuta… o sofferta, chi lo sa… Provo a immaginarmi il volto del bambino che nascerà a breve lassù, a Padova. Un bambino concepito qui dentro, in questa camera da letto che, per ovvi motivi, non riesco ancora a sentire come “la mia camera”… Provo a immaginare quel volto, ma non ci riesco. Non sono bravo come Sebald; o non sono abbastanza perturbato. Certo è che questa notte non riuscirò a prendere sonno subito. Troppa vita, troppa morte, troppe cose a cui pensare e su cui sognare per addormentarsi subito. Meglio se mi accendo un’altra sigaretta.

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