jueves, octubre 22, 2009

David Foster Wallace docet (su tempo, pensiero e linguaggio)




"Ecco un altro paradosso: nella vita di una persona la maggior parte dei pensieri e delle impressioni più importanti attraversano la mente così rapidi che rapidi non è nemmeno la parola giusta, sembrano totalmente diversi o estranei al cronometro che scandisce regolarmente la nostra vita, e hanno così pochi legami con quella lingua lineare, fatta di tante parole messe in fila, necessaria a comunicare fra di noi, che dire per esteso pensieri e collegamenti contenuti nel lampo di una frazione di secondo richiederebbe come minimo una vita intera ecc. - eppure sembra che andiamo tutti in giro cercando di usare la lingua (quale che sia, a seconda del paese d'origine) per cercare di comunicare agli altri quello che pensiamo e per scoprire quello che pensano loro, quando in fondo lo sanno tutti che in realtà si tratta di una messinscena e che si limitano a far finta. Quello che avviene dentro è troppo veloce, immenso e interconnesso e alle parole non rimane che limitarsi a tratteggiarne ogni istante a grandi linee al massimo una piccolissima parte. La velocità mentale interna o quello che è di queste idee o ricordi, percezioni o emozioni e via dicendo è perfino più veloce - esponenzialmente, inimmaginabilmente più veloce - in punto di morte, cioè durante quel nanosecondo così minuscolo e sul punto di sparire che separa il momento in cui si muore tecnicamente da ciò che avviene subito dopo, perciò il cliché sull'intera esistenza che scorre come un lampo davanti agli occhi di chi è in punto di morte non è poi così peregrina - anche se in questo caso intera esistenza non vuol dire una sequela ininterrotta dove prima nasci e poi sei nella culla e poi sei al piatto nella squadra dell'American Legion ecc., che in fondo è quello che pensano un po' tutti quando dicono "la mia intera esistenza", riferendosi a una serie cronologica, discontinua, di momenti che mettono in fila e chiamano vita. Non è affatto così. Non mi viene in mente un modo migliore per dirlo se non che succede tutt'a un tratto, ma questo a un tratto non significa certo un momento finito di tempo all'interno di una sequela ininterrotta nei termini in cui consideriamo il tempo quando siamo vivi, e poi quello che risulta essere il significato dell'espressione la mia vita non si avvicina neanche lontanamente a quello che crediamo di dire quando diciamo "la mia vita". Le parole e il tempo cronologico creano tutti questi equivoci assoluti su quello che succede per davvero a livello elementare. Eppure al tempo stesso la lingua è tutto ciò che abbiamo per cercare di capirlo e per cercare di instaurare qualcosa di più vasto o significativo e vero con gli altri, il che è un altro paradosso".

David Foster Wallace, "Caro vecchio neon", in Oblio, Torino, Einaudi, 2004, pp. 180-81.

[P.S.: Diciamo che neppure Roman Jakobson né Ludwig Wittgenstein - il tizio nella foto - sarebbero stati più chiari di lui qui; diciamo pure che sia Henry James che James Joyce sarebbero stati d'accordo - soprattutto l'ultimo, forse, che ha impiegato quasi mille pagine per descrivere i pensieri di un gruppo di persone così come si presentano, nascono e si intrecciano all'interno delle loro menti e nell'arco di sole 24 ore].

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