domingo, enero 08, 2012


KARL SCHLÖGEL, LEGGERE IL TEMPO NELLO SPAZIO. SAGGI DI STORIA E GEOPOLITICA (2003), Milano, Bruno Mondadori, 2009






Ecco uno di quei saggi che si leggono con piacere e con trasporto, mai appesantiti da un eccesso d’erudizione e scritti con stile garbato verso il profano (il lettore che, ad es., e come me in questo caso, non sa un’acca di geopolitica)…

Che l’essere umano tenda – per convenzione, per abitudine secolare e per maggiore facilità di comprensione – a spazializzare il tempo è un dato di fatto che sappiamo sin dai tempi di Aristotele… Che lo spazio determini inevitabilmente e, a volte, “fatalmente”, il nostro destino è, invece, qualcosa che ho scoperto leggendo proprio Schlögel, studioso tedesco di geopolitica e storico del paesaggio (o dello spazio), come potremmo definirlo a lettura terminata di questo Leggere il tempo nello spazio. L’autore ci fa scoprire come, ad esempio e durante gli anni della guerra balcanica, moltissimi cittadini di Sarajevo (durante l’assedio della capitale iniziato nel 1992 e finito solo nel 96) diventarono esperti in “topografia urbana e ricognizione del territorio” (id., p. 40): dovevi saper individuare al volo i posti più sicuri, i bunker o le trincee più nascoste, se volevi salvare la pelle. Sottopassaggi, tunnel e nascondigli sia naturali che urbani divennero spazi strategici per buona parte della popolazione, se si voleva stare lontani dalle bombe e dalle mitragliatrici dei cecchini nemici…

Lo spazio determina la nostra vita (vivere è anche questo: abitare spazi, in modo costante e continuo, anche se non ce ne rendiamo conto). E’ quanto succede leggendo l’indirizzario (o elenco telefonico o Pagine Gialle attuali): in uno dei capitoli più affascinanti, Schlögel ci mostra come sia possibile ri-scrivere la storia della Germania moderna e contemporanea leggendo attentamente i vari indirizzari della Berlino degli anni 30 e 40: un conto era l’indirizzario del 1932, dove prevalevano determinate attività e professioni tra gli abitanti della capitale, e un conto molto diverso leggere l’elenco del 1933, quando Hitler è già salito al potere e il Nazismo si appresta a diventare l’unica religione di Stato. Dall’indirizzario del 1940, quando ormai ci si avvia verso la fine della guerra, non ci sono più gli ebrei o comunque, se non scompaiono del tutto, il loro numero e le loro attività commerciali si sono ridotte moltissimo; se prima prevalgono certe attività – birrai, macellai, calzolai – ora, dopo la guerra, prevalgono le attività di ricostruzione post-bellica – ricoveri, centri assistenza, centri per la ricostruzione, una mappa precisa della desolazione e del desiderio di ripartire verso un mondo migliore e una società più civile…

La situazione cambia di nuovo negli anni della Guerra Fredda e della contrapposizione tra i due blocchi (USA e Occidente da un lato, URSS e mondo “orientale” dall’altro). Come osserva acutamente e prontamente l’autore, la vita degli individui dipenderà dallo spazio in cui si nasce e si cresce: a seconda che si viva da un lato o dall’altro della linea divisoria che spartisce in due blocchi il mondo, la vita prenderà (o potrà prendere) un percorso ben preciso ed è per questo che: “L’indirizzo divenne un destino decisivo per le prospettive di vita, per gli studi, per quello che si sarebbe o non si sarebbe diventati” (p. 143). 

Pensiamo poi a quelli che, di mestiere, faranno le spie: in quei casi, la missione impossibile consisterà proprio in questo: abitare spazi “altri”, mescolarsi con il nemico, fingendosi “indigeni” e persone del posto…

Bellissimo, in tal senso, il cap. intitolato “Biografia, curriculum vitae”: è qui che lo storico ci fa capire come il curriculum altro non sia che lo schema o riassunto sintetico di quali luoghi abbiamo abitato in quel determinato momento della nostra esistenza. Il curriculum segnala gli spazi via via occupati prima di arrivare ad occupare la posizione che abitiamo nel presente. E ci dice che la vita (umana) è fatta di frecce, percorsi, movimenti da una città all’altra, da un luogo ad un altro, in nome dei nostri desideri, dei sogni, delle predisposizioni, dei “mestieri” per i quali ci siamo sentiti pronti e portati… oltre che, ahinoi, di false partenze e falsi approdi, di spostamenti inconsulti e di fughe disperate (pensiamo, ancora una volta, a come dovettero percepire l’Europa gli esuli ebrei scampati ai campi di concentramento – Primo Levi docet – o tutti quegli altri cittadini obbligati a lasciare le proprie case per cercare di rifarsi una vita all’estero o, attraversando l’Oceano, in America…).

“ ‘Di regola’ la vita procede ‘su binari regolari’. In periodi di catastrofe la vita deraglia.” (p. 166). E’ vero, e queste stesse espressioni ci spiegano meglio di qualsiasi trattato filosofico di come la “spazializzazione del tempo” sia consustanziata al nostro modo di pensare e di ragionare (geometrizziamo l’esistenza, anche quando non ce ne rendiamo conto in maniera conscia – la vita è fatta di alti e bassi; si superano gli ostacoli; ci si rimette in moto; si corrono rischi; si arriva in porto).

Schlögel ha anche un altro dono (o merito), che non tutti gli studiosi hanno: quello della sintesi. Come in questa frase lapidaria, che spiega la differenza tra democrazia e dittatura sulla base dell’aspetto che assumono i marciapiedi o le strade delle città: “Le dittature hanno le strade pulite, le democrazie in genere no” (p. 183). 

Ecco, allora, come e perché leggere il tempo nello spazio aiuta a renderci più consapevoli: di chi siamo, di cosa abbiamo fatto in passato (la cosiddetta Storia), di cosa potremmo diventare in futuro (con internet e l’abbattimento delle distanze spaziali tramite le realtà virtuali messe in piedi dalla rete, con tutti quegli stravolgimenti che la cosiddetta globalizzazione sta creando poco a poco sotto i nostri stessi occhi).

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