KARL
SCHLÖGEL, LEGGERE IL TEMPO NELLO SPAZIO.
SAGGI DI STORIA E GEOPOLITICA (2003), Milano, Bruno Mondadori, 2009
Ecco uno di quei saggi che si leggono con piacere e con
trasporto, mai appesantiti da un eccesso d’erudizione e scritti con stile
garbato verso il profano (il lettore che, ad es., e come me in questo caso, non sa
un’acca di geopolitica)…
Che l’essere umano tenda – per convenzione, per abitudine
secolare e per maggiore facilità di comprensione – a spazializzare il tempo è
un dato di fatto che sappiamo sin dai tempi di Aristotele… Che lo spazio
determini inevitabilmente e, a volte, “fatalmente”, il nostro destino è,
invece, qualcosa che ho scoperto leggendo proprio Schlögel, studioso tedesco di
geopolitica e storico del paesaggio (o dello spazio), come potremmo definirlo a
lettura terminata di questo Leggere il
tempo nello spazio. L’autore ci fa scoprire come, ad esempio e durante gli anni della
guerra balcanica, moltissimi cittadini di Sarajevo (durante l’assedio della
capitale iniziato nel 1992 e finito solo nel 96) diventarono esperti in “topografia
urbana e ricognizione del territorio” (id., p. 40): dovevi saper individuare al
volo i posti più sicuri, i bunker o le trincee più nascoste, se volevi salvare
la pelle. Sottopassaggi, tunnel e nascondigli sia naturali che urbani divennero
spazi strategici per buona parte della popolazione, se si voleva stare lontani
dalle bombe e dalle mitragliatrici dei cecchini nemici…
Lo spazio determina la nostra vita (vivere è anche
questo: abitare spazi, in modo costante e continuo, anche se non ce ne rendiamo
conto). E’ quanto succede leggendo l’indirizzario (o elenco telefonico o Pagine
Gialle attuali): in uno dei capitoli più affascinanti, Schlögel ci mostra come
sia possibile ri-scrivere la storia della Germania moderna e contemporanea
leggendo attentamente i vari indirizzari della Berlino degli anni 30 e 40: un
conto era l’indirizzario del 1932, dove prevalevano determinate attività e
professioni tra gli abitanti della capitale, e un conto molto diverso leggere l’elenco
del 1933, quando Hitler è già salito al potere e il Nazismo si appresta a
diventare l’unica religione di Stato. Dall’indirizzario del 1940, quando ormai
ci si avvia verso la fine della guerra, non ci sono più gli ebrei o comunque, se
non scompaiono del tutto, il loro numero e le loro attività commerciali si sono
ridotte moltissimo; se prima prevalgono certe attività – birrai, macellai, calzolai – ora, dopo la guerra, prevalgono le attività di ricostruzione
post-bellica – ricoveri, centri assistenza, centri per la ricostruzione, una
mappa precisa della desolazione e del desiderio di ripartire verso un mondo migliore e
una società più civile…
La situazione cambia di nuovo negli anni della Guerra
Fredda e della contrapposizione tra i due blocchi (USA e Occidente da un lato,
URSS e mondo “orientale” dall’altro). Come osserva acutamente e prontamente l’autore,
la vita degli individui dipenderà dallo spazio in cui si nasce e si cresce: a
seconda che si viva da un lato o dall’altro della linea divisoria che spartisce
in due blocchi il mondo, la vita prenderà (o potrà prendere) un percorso ben
preciso ed è per questo che: “L’indirizzo divenne un destino decisivo per le
prospettive di vita, per gli studi, per quello che si sarebbe o non si sarebbe
diventati” (p. 143).
Pensiamo poi a quelli che, di mestiere, faranno le spie:
in quei casi, la missione impossibile consisterà proprio in questo: abitare
spazi “altri”, mescolarsi con il nemico, fingendosi “indigeni” e persone del
posto…
Bellissimo, in tal senso, il cap. intitolato “Biografia,
curriculum vitae”: è qui che lo
storico ci fa capire come il curriculum altro non sia che lo schema o riassunto
sintetico di quali luoghi abbiamo abitato in quel determinato momento della
nostra esistenza. Il curriculum segnala gli spazi via via occupati prima di
arrivare ad occupare la posizione che abitiamo nel presente. E ci dice che la
vita (umana) è fatta di frecce, percorsi, movimenti da una città all’altra, da
un luogo ad un altro, in nome dei nostri desideri, dei sogni, delle
predisposizioni, dei “mestieri” per i quali ci siamo sentiti pronti e portati… oltre che, ahinoi, di false partenze e falsi approdi, di spostamenti inconsulti e di
fughe disperate (pensiamo, ancora una volta, a come dovettero percepire l’Europa
gli esuli ebrei scampati ai campi di concentramento – Primo Levi docet – o
tutti quegli altri cittadini obbligati a lasciare le proprie case per cercare
di rifarsi una vita all’estero o, attraversando l’Oceano, in America…).
“ ‘Di regola’ la vita procede ‘su binari regolari’. In
periodi di catastrofe la vita deraglia.” (p. 166). E’ vero, e queste stesse
espressioni ci spiegano meglio di qualsiasi trattato filosofico di come la “spazializzazione
del tempo” sia consustanziata al nostro modo di pensare e di ragionare
(geometrizziamo l’esistenza, anche quando non ce ne rendiamo conto in maniera
conscia – la vita è fatta di alti e bassi; si superano gli ostacoli; ci si
rimette in moto; si corrono rischi; si arriva in porto).
Schlögel ha anche un altro dono (o merito), che non
tutti gli studiosi hanno: quello della sintesi. Come in questa frase lapidaria,
che spiega la differenza tra democrazia e dittatura sulla base dell’aspetto che
assumono i marciapiedi o le strade delle città: “Le dittature hanno le strade
pulite, le democrazie in genere no” (p. 183).
Ecco, allora, come e perché leggere il tempo nello
spazio aiuta a renderci più consapevoli: di chi siamo, di cosa abbiamo fatto in
passato (la cosiddetta Storia), di cosa potremmo diventare in futuro (con
internet e l’abbattimento delle distanze spaziali tramite le realtà virtuali
messe in piedi dalla rete, con tutti quegli stravolgimenti che la cosiddetta globalizzazione sta creando poco a poco sotto i nostri stessi occhi).
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