Ipotesi
di lavoro (di scrittura – in potentia):
ovvero, fino a dove è lecito impossessarsi delle parole “altrui”?
Dunque, la situazione è questa: nel
monolocale-attico in cui vivo in questo momento (e fino a data da precisarsi –
forse già da Luglio torno ad essere “madrilegno”), ho scoperto una cassa di
legno. In realtà, più che di una vera e propria “scoperta” si tratta di un
“riconoscimento” (ovvero, “riscoperta”): quella cassa di legno - messa in un angolino e accanto all'unico armadio che ho - mi era stata già
segnalata dalla padrona di casa, ma non mi ha mai spiegato cosa ci fosse
dentro. E solo in seguito, soltanto in un secondo momento (cioè: ieri), ho
ri-conosciuto e ri-scoperto la cassa. L’ho aperta, con grande curiosità, e ho
scoperto che dentro c’erano…libri. Ora, se c’è una cosa che più mi appassiona
in questa vita (terrena ed effimera), dopo le donne, sono proprio i libri. E
per ora, ringraziando il cielo, e a Dio piacendo, io coi libri ci ho campato –
nel senso che li studio, li spiego e li faccio leggere ai miei (vari e svariati
– a volte anche “avariati”) studenti. Ed è quindi ovvio che, non appena
appurato che si trattava di carta stampata, mi sia messo ad aprirli uno ad uno
e scartabellarli per vedere se dentro ci fossero fogli, appunti, tracce del
loro legittimo proprietario.
In un primo momento ho pensato: “Sono i libri
della signora, la padrona di casa”. In un secondo momento, e dopo aver letto un
paio di dediche scritte a matita (chi può scrivere dediche a matita?), ho
dedotto: “No, caspita, questi non sono della signora, questi libri sono di un
altro, sono di un uomo – o un ragazzo, uno di sesso maschile”. E il motivo era
presto detto: le dediche si rivolgevano a un fantomatico R. ed erano tutte
scritte di pugno di una tale Luisa (dal tono e dai contenuti si capiva chiaramente che R. era inoppugnabilmente un "uomo"). Ergo: Luisa scriveva dediche a Roberto
(Rino, Rocco, Rosario, Romualdo, Rinaldo, Rambaldo, Rambo) per i libri che lei
gli regalava con tanto trasporto e affetto (e amore?).
Ho passato due ore a leggermi tutte le dediche di tutti e 13 i libri che tale Luisa ha regalato a tale misterioso R. tra il 12 Luglio del 2002 e il 5 Maggio del 2004… in totale, quasi 2 anni pieni di libri con rispettive dediche…
Confesso che mi sono sentito un po’ un ladro:
stavo usurpando il ruolo del destinatario, stavo occupando (temporaneamente) il
posto di R. E leggendo pensavo: ma quanto doveva essere cotta questa Luisa di
questo R.? Perché le dediche sono bellissime, intelligenti, acute, spiritose,
ironiche e danno l’idea di una ragazza (o donna?) con le stesse qualità. Una
donna (o una ragazza?) innamorata di uno che non la ricambia; magari R. è
(era?) un burbero, uno di quelli che non legge mai, o che, al massimo, legge un
libro all’anno… E che libri sceglieva Luisa per R.! Milan Kundera (L’insostenibile leggerezza dell’essere e L’immortalità), Philip Roth (Lamento di Portnoy e Il teatro di Sabbath), Thomas Bernhard (Il soccombente e Il nipote di Wittgenstein), insomma, roba forte, di qualità, mica pizza e fichi
(mica cotiche!). Insomma, Luisa stava tentando, con tutti questi suoi regali
speciali, di trasmettere al suo R. un po’ del suo vizio della lettura, un po’
della sua spiccata e travolgente passione per la buona letteratura… E pensavo:
ma com’è, se è ancora viva, questa Luisa? Che viso ha una donna (o una ragazza)
che scrive cose come questo P.S.: “questo libro è una palla, ma il capitolo 7 è
un racconto molto bello completamente staccato dal resto, che mi ha fatto
pensare a te, e in generale al cammino sentimental-passionale-sessuale che
ognuno di noi fa nella sua vita”? O cose come: “Nota bene: per capire quello
che provo per te devi leggerti almeno le prime 50 pagine di questo libro, ti
assicuro che non te ne pentirai e che ne varrà la pena”? Dio, che voglia di
abbracciarla, una capace di scrivere dediche così “sentite” e così… come dire?
personali, per niente scontate, sempre divertite e divertenti, traboccanti di
un sentimento che, se non è proprio amore, ci si avvicina parecchio…
E poi mi sono chiesto: ma se R. questi bei libri
li ha abbondanti dentro questa cassa di legno; se R. se ne è andato da questo
monolocale senza portarsi dietro la cassa, li avrà davvero mai letti sti
benedetti libri? E dove sarà oggi R.? Che faccia ha? Che faccia ha Luisa? E se
erano una coppia scoppiata? Se R. già tradiva la povera Luisa con la sua
migliore amica? Se con tutti questi libri la poveretta non è mai riuscita a
scalfire la corazza di superficialità o d’ignoranza di R.? E se R., invece, e
contro il mio farneticare e il mio assurdo pregiudizio anti-maschilista, li ha
letti tutti, i libri, ed è rimasto così scottato dai messaggi che, tramite
questi, Luisa gli inviava da non avere più il coraggio di portarseli nella sua
nuova vita? E se Luisa ed R. si incontravano proprio dentro questo mio spazio
temporaneo, dentro questo monolocale-attico nei pressi del centro storico di
Salerno? Se, magari dopo aver fatto l’amore, Luisa gliele leggeva a voce alta
quelle prime 50 pagine de L’insostenibile
leggerezza dell’essere che R. doveva assolutamente conoscere?
Ho smesso di spulciare le dediche; a un certo
punto mi sono dovuto fermare. Stavo fantasticando troppo. Mi era pure venuta in
mente l’idea per scrivere un racconto su un ritrovamento così strano, in questo
2012, in questo mondo così lontano dalle trame alla Possession (di Antonia S. Byatt, per intenderci). E poi mi sono
chiesto: “Ma sarebbe moralmente corretto o accettabile, da parte mia, infilare
in un mio racconto ipotetico e potenziale le frasi di questa fantomatica Luisa?
Chi mi dà il diritto di rubare queste dediche e usarle a fini “artistici” per
un raccontino? Si sentirebbe più offesa o più lusingata la legittima
proprietaria, se, in un incredibile e fortuito caso, e in un futuro più o meno
lontano, venisse in contatto col mio racconto e scoprisse il mio furto? Si
possono “sottrarre” in questo modo delle dediche per costruirci sopra una
narrazione fittizia?
Ho richiuso la cassa di legno. E’ da un po’ che la
guardo, ma non voglio riaprirla. Anzi, ho già preso una decisione: non leggerò
più quelle dediche. E riguardo ai dubbi esistenzial-letterari, diciamo pure: “Ai
poster(i), l’ardua sententia…”.
Fine
– Fin – The End
WOW , CHE EMOZIONE! IO SEGUIREI IL MIO ISTINTO FOSSI IN TE;-)
ResponderEliminarE ora, quale Silvia sei? La mia amica di Vercelli? Quella di Roma? La mia ex? Vabbè, chiunque tu sia, Silvia, seguirò il tuo consiglio (e l'istinto)...e vediamo cosa ne esce fuori! Besos
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