viernes, julio 25, 2014

 "Giudici" in balia del caso


Tempo fa ho partecipato a un concorso nazionale per giovani scrittori in qualità di "giudice"; mi è toccato leggermi una cinquantina di racconti e scegliere quello che, secondo me, meritava di arrivare in finale; in totale eravamo 6 "giudici"; alla fine ha vinto quello che, effettivamente, presentava la trama più convincente, lo stile più originale, il ritmo più compatto (lo sanno tutti che il "racconto" in quanto genere si somiglia molto di più alla "poesia" che alla "narrativa": in un racconto, esattamente come in una poesia, ci devono essere frasi, elementi, scene che devono far rima tra loro, pena la perdita di quell'aura che contraddistingue i buoni racconti - basti pensare alle opere di Henry James, Julio Cortázar, John Cheever, Jorge Luis Borges o Anton Checov).

Ebbene, dopo questa bella esperienza (che mi ha permesso - tra le altre cose - di conoscere persone davvero in gamba ed interessanti, molto appassionate di letteratura e del loro lavoro), la presidentessa dell'Associazione Culturale che promuove questo concorso ha deciso di omaggiarmi con un libro, questa volta un vero romanzo, vincitore l'anno prima del concorso per la sezione "narrativa".

Non espliciterò qui autore e titolo; sì dirò che il libro merita, parla dell'Italia del Sud, della Sicilia, in particolare, della Sicilia dei primi del Novecento, delle condizioni durissime di vita di molti siciliani che poi - per poter sopravvivere - furono costretti ad emigrare in America. L'autore (o meglio, l'autrice) è una donna d'origini sicule, ma di nazionalità colombiana (o venezuolana o cilena, ora non ricordo bene). Il romanzo in sé funziona, si legge d'un fiato, fa venire voglia di sapere "come va a finire", è originale nel modo di trattare l'argomento, mescola in modo sapiente elementi da "realismo magico" alla Gabriel García Márquez con tratti da realismo crudo, duro e spietato (ci sono scene che lasciano letteralmente a bocca aperta).

Ebbene, alla richiesta di un mio parere da parte della presidentessa, ho mandato un email specificando i pregi e i difetti e dicendo che il libro mi è piaciuto molto. Non si trattava di una recensione nel senso stretto del termine. Ma la presidentessa ha ritenuto giusto reinviare la mia email all'autrice per farle sapere cosa ne pensavo. In più, mi chiede nella stessa email se secondo me il romanzo merita di essere tradotto in italiano e se conosco una qualche casa editrice che possa essere interessata a pubblicarlo.

Ora, a parte il fatto che mi è sembrato alquanto scorretto "girare" al volo il mio parere su un romanzo all'autrice dello stesso e senza previo avviso, e a parte il fatto che non conosco in modo diretto case editrici importanti o interessate all'eventuale pubblicazione, mi si pone il dubbio atroce circa il mio ruolo in tutta questa storia, dubbio che, a sua volta, si articola attraverso questa lista di domande: 

a) chi sono io per dire che un libro vale o non vale, merita la pubblicazione o va condannato all'oblio?

b) chi mi ha spinto a scrivere una pseudo-recensione "sincera" e "diretta" quando non potevo minimamente immaginare che la stessa sarebbe finita nelle mani dell'autrice?

c) come avrà preso l'autrice il mio parere sul suo romanzo?

d) perché la presidentessa vuole darmi un compito così delicato quando, in realtà, nemmeno mi conosce o mi conosce poco?

e) il dubbio più atroce di tutti: può davvero avere qualche possibilità di pubblicazione un romanzo come questo, sulla Sicilia difficile dei primi del Novecento, sul "machismo" degli italiani dell'epoca, sulle durissime condizioni di vita delle donne del tempo?

Questa esperienza mi fa riflettere su un elemento centrale nella vita di tutti: la casualità. È il caso che ha voluto che partecipassi in qualità di "giurato" in quel concorso di racconti; il caso che ha voluto che la presidentessa mi regalasse il romanzo dell'autrice cilena (o venezuolana o colombiana); il caso che ha voluto che dessi il mio parere; il caso che deciderà se poi davvero il romanzo avrà il merito di venire pubblicato anche in italiano; il caso che vorrà che l'autrice venezuolana (o cilena o colombiana) si traformi in un "caso editoriale". E a volte penso anche: "Quant'è ingiusto, il caso, quando offre chances e fama e denaro a gente che non meriterebbe di venire pubblicata! Quant'è capriccioso il caso che concede Premi Nobel a scrittori che poi nessuno ricorderà e condanna all'ostracismo autori meritevoli che fanno la fame e vivono nell'ombra!". E mi fa paura pensare che anch'io, nei confronti dell'autrice succitata, possa convertirmi in un elemento - una rotellina - del sistema casuale che premia con la pubblicazione o che condanna con l'oblio... Chi sono io per giudicare, chi per dire un sì o un no, chi per promuovere o bocciare?

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