viernes, noviembre 22, 2019

Da Venezia


Mi scrive da Venezia una carissima collega che ammiro molto e che ho sempre considerato un simbolo di ciò che dovrebbe essere un professore e un ricercatore che s'impegna seriamente nel suo lavoro, che intende il proprio lavoro come una passione e che sa trasmettere agli studenti la sua stessa passione...

Mi descrive la situazione che vede da casa e mi vengono i brividi a pensare a quanti danni ha subito la città, una delle più ricche d'arte e di storia dell'intero paese.

Mi parla dei supermercati chiusi; delle librerie e delle biblioteche (anche pubbliche, anche della "Ca' Foscari") mezzo inondate o a rischio inondazione; dei libri che galleggiano squadernati e delle persone che non ce la fanno più a vedere la laguna sommersa dai mobili, dai materassi, dall'immondizia, dalle barche sbandate e alla deriva...

E poi mi contatta un'amica dell'adolescenza, una di quelle che vive in Spagna, una di quelle presenze amiche e amichevoli che servono a farti stare meglio, quando pensi che va tutto a rotoli...E parliamo del più e del meno, del mio lavoro e degli studenti ignoranti che sanno di non sapere e se ne vantano; poi tocchiamo un tasto scottante: i suoi rapporti con gli amanti di turno, delle brutte sorprese e delle belle esperienze (sia sessuali che sentimentali), della necessità di usare Tinder per avere un rapporto con chi t'interessa senza più l'intermediazione della discoteca o del pub, della chiacchierata davanti a una birra o a un cocktail...

E inizia a piovere ed è davvero strano che piova qui, nella città del Sud del Sud della Spagna in cui vivo e lavoro, in cui dormo e leggo, in cui scrivo, quando posso e gli impegni familiari e professionali me lo permettono (sempre meno tempo quando c'è una prole da crescere, sempre meno...).

E mi viene da pensare che forse è vero che ci avviamo verso l'inizio della Fine; ma non vorrei essere Apocalittico. Oggi a lezione abbiamo parlato di un sonetto di Francisco de Quevedo che mette sullo stesso piano (e nello stesso verso) "los pañales" e "la mortaja" (le fasce del bimbo appena nato e il sudario del cadavere). Mi ricorda un altro famoso sonetto in cui il poeta barocco compara la "cuna" alla "sepultura", ovvero, la "culla" alla "tomba". 

Immagino Venezia come una tomba enorme; una potenziale nuova Atlantide, con la Basilica di San Marco e i suoi leoni ricoperti di alghe e visibili solo ai pochi coraggiosi sommozzatori che avranno l'ardire di scendere negli abissi per contemplare la città sommersa...


Poi ricordo ai miei studenti che è venerdì, che inizia il fine settimana e che non dobbiamo mai smettere di sorridere alla vita, perché finché siamo in vita c'è speranza. Qualcuno sorride. Gli altri mi guardano seriosi. Alcuni sono già usciti dall'aula, forse stufi di ascoltare tanti discorsi tetri a partire dalla poesia di Quevedo.

Anche questo è Ottobre: la pioggia e Venezia; gli amici e i colleghi di lunga data; le lezioni che assumono tratti forse fin troppo lugubri...

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