jueves, febrero 06, 2020

1917 di Sam Mendes: di cosa siamo capaci nei momenti di massima crisi



Dopo tanto, riesco a staccarmi dalla prole e dalla mia compagna d'avventure: ne avevo proprio bisogno, la famiglia stressa e porta ad un tale livello di esaurimento nervoso che, a volte, per il bene degli stessi membri che ne fanno parte è bene allontanarsene, sparire per un po', svanire come se una nebbia spessa ci avesse inghiottiti.

Afferro la bici, sollevato al pensiero di andare al cinema e, quindi, di passare finalmente 2 ore completamente da solo (chi diventa genitore sa quanta importanza assume la solitudine e quanto prezioso diventa il silenzio; soltanto chi ha figli piccoli sa quanto queste due cose diventino cruciali, nella vita di un essere umano).

E allora mi butto a capofitto verso il cinema più antico del centro storico della città del Sud del Sud della Spagna in cui mi trovo e mi preparo a guardare 1917, l'ultimo film di Sam Mendes, il regista di un capolavoro come American Beauty...che io vidi a Roma, nel lontano 1999, e che ancora oggi ricordo, per alcune scene perturbanti e davvero ben girate...

Lasciando da parte il pregio tecnico del film (la fotografia, il montaggio, i lunghissimi piani-sequenza di cui parlano tutti i critici cinematografici più aggiornati, gli attori, insomma, tutto ciò che contribuisce a fare di un film un gran film), c'è un aspetto che colpisce più di ogni altro: 1917 ci mostra tutto il peggio e tutto il meglio di cui siamo capaci nei momenti di crisi, quando non c'è più tempo per la retorica o la cortesia e la morte mette a repentaglio la vita...

Il film ci mostra una crisi che abbiamo vissuto nel corso della Storia (e che molti di noi, per fortuna, non hanno mai visto dal vivo): la guerra, in quanto evento politico che deve risolvere con la forza (e migliaia di vittime) un nodo o un problema vissuto come insormontabile o irrisolvibile.

E ci mostra ciò di cui siamo capaci in guerra in due scene che a me sono rimaste impresse negli occhi e nella memoria...


Nella prima vediamo uno dei due soldati inglesi protagonisti nell'atto di aiutare un soldato tedesco ad uscire dalla carlinga del suo aereo appena abbattuto; l'altro commilitone esegue gli ordini dell'amico e va a prendere dell'acqua da porgere al tedesco le cui gambe hanno rischiato di andare a fuoco; il commilitone si volta e vede che il tedesco ha appena pugnalato a tradimento l'amico; dalla pancia fuoriesce il sangue del povero illuso, del militare che crede nell'onore e nel rispetto del nemico e che, per questo suo estremo e assurdo gesto d'altruismo, ci rimetterà la sua stessa vita.

Nella seconda scena, girata in notturno, vediamo questo stesso commilitone che si è salvato nascondersi dai nemici in una sorta di scantinato. Dentro vi trova una giovane donna francese che accudisce una neonata di pochi mesi.
Il soldato decide di lasciarle tutte le sue provviste affinché si sfamino entrambi; la donna gli spiega che il bambino può bere solo latte; il soldato gli offre proprio il latte che è riuscito a custodire come fosse oro all'interno della sua borraccia. E se ne va.

Sia nel primo che nel secondo caso ci troviamo di fronte a due gesti "estremi": quello di un soldato che accetta di salvare la vita al nemico, perdendo la sua contro ogni aspettativa e ogni patto di lealtà; e quello di un militare che accetta di privarsi di ogni fonte di nutrimento, compreso il latte, per dare da sfamare a una bimba appena nata e alla giovane che l'accudisce.

Ecco: io credo che è proprio in guerra (e in altre situazioni di crisi estrema) che l'essere umano può arrivare a toccare il fondo e può scoprire - appunto - di dare il meglio (o il peggio) di sè. E 1917 ha il merito di farcelo percepire da vicino, con questa macchina da presa che non molla la preda, che sta dietro ai due protagonisti con ostinazione e affanno, come se, all'improvviso, anche noi spettatori del XXI secolo ci fossimo trasformati in due soldati della Prima Guerra Mondiale intenti a portare a termine una missione apparentemente suicida. E non è un merito da poco.

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