lunes, marzo 23, 2020

A Ghost Story (2017) di David Lowery: quando anche i fantasmi si perdono


In questi giorni tremendi di migliaia di vittime a causa del coronavirus, si prova a farsi forza anche a suon di arte: un buon romanzo, un film che ci cattura, una canzone che ci evoca momenti felici, un quadro che continua ad intrigarci sono tutti mezzi utili per staccare la spina dell'ansia quotidiana, oltre che per provare ad evadere da una realtà fin troppo cruda (e crudele).

E così, decido di vedere per la seconda volta in vita mia un film "horror" atipico qual è A Ghost Story di David Lowery. È un film del 2017 e che io scoprii quasi per caso in un congresso sul "gotico" grazie ad un collega che faceva una sorta di ripasso cronologico del genere all'interno dell'intera storia del cinema. 

A Ghost Story è un film che colpisce perché - senza temere il ridicolo o l'effetto kitch - mette in scena la storia di un fantasma rappresentato nel modo più tradizionale possibile: un essere nascosto sotto un lenzuolo, con due fori per gli occhi (vedono i fantasmi attraverso gli occhi? Hanno davvero ancora gli occhi i fantasmi?) che si aggira nel mondo, apparentemente senza fissa dimora.

In realtà, il fantasma si ritrova subito nella casa in cui abitò con la fidanzata (o è sua moglie?), sopravvissuta nonostante il lutto e il dolore estremo causato dall'incidente che le ha portato via il ragazzo (o è suo marito?).

Passa il tempo e questo povero cristo è costretto ad assistere alla routine di una donna allo stremo; l'osserva mentre ascolta le canzoni che scrisse quando il compagno era ancora in vita; la contempla di notte, quando si butta sul letto, in preda ad un pianto inconsolabile. La guarda impotente anche quando sembra che stia per rifarsi una vita, quando un ragazzo la riaccompagna a casa e gli chiede se può restare (ma lei lo manda via, non se la sente di profanare il letto in cui ha fatto l'amore con chi, purtroppo, non c'è più).

Questo film ci colpisce e ci emoziona perché ci obbliga ad assumere il punto di vista di chi, pur essendo presente, non può toccare i vivi, non può baciare la sua compagna, non può tornare indietro nel tempo per evitare di morire in uno stupidissimo incidente stradale. "Fantasma" è chi è lì, presente, ma, al contempo, assente, perché nessuno lo vede né può toccarlo; lo si può sentire, questo sì, soprattutto quando, all'arrivo di una famiglia ispanoamericana, decide che è ora di far sloggiare i nuovi inquilini (e comincia a frantumare i piatti della cucina, con conseguente spavento e fuga di tutti).


A Ghost Story ci mostra - con lirismo e una colonna sonora davvero bella - l'estrema malinconia che nutre chi continua a essere testimone delle azioni dei vivi e sa che prima o poi anche loro moriranno.



E ci mostra anche come perfino i fantasmi possano smarrire la strada di casa, se si lanciano da un grattacielo del futuro e precipitano nelle praterie dei primi anni della conquista del West. 

La storia di un fantasma che ha (ri)perso la strada di casa; ecco, è qui che si concentra l'essenza di un film che può spingerci fino alle lacrime, soprattutto quando si arriva alla conclusione, quando, finalmente, il fantasma riesce ad afferrare il biglietto che l'amata rimasta in vita gli ha lasciato nell'intercapedine di un muro della casa in cui sono stati felici. 



A Ghost Story è davvero una delle più sconvolgenti riflessioni sul tempo che abbia mai visto in formato di cinema. Una girandola triste, nostalgica, malinconica e piena di poesia che ci insegna che non è mai facile (è quasi sempre impossibile) dirsi certe cose nei tempi giusti e che, a volte, ci vuole tutta l'eternità per arrivare a capire il senso di certi messaggi.

Proprio per questo, A Ghost Story è un film da vedere, soprattutto ora che siamo obbligati a stare reclusi dentro le mura delle nostre case.

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