martes, octubre 10, 2006

Un aereo decolla dalle vicinanze. La notte riempie le strade di nebbia. Non c'è anima viva in giro a quest'ora. Un gatto sgattaiola via, inseguendo chissà chi o cosa. Mi appresto a preparare la valigia per un nuovo viaggio, mentre ripenso a Giulia, una neonata di poche settimane, mentre mi lecca il collo credendo sia il seno di sua madre, Linda, che la osserva attenta e accorta mentre lava i piatti (il sangue del suo sangue e l'amore che non ha confini e non rispetta orari - lei e suo marito hanno smesso di dormire secondo i dettami delle cosiddette "persone normali"). Leggo opere mostruose, per lungimiranza e ampiezza e varietà di vedute; sfoglio i Saggi di Montaigne; leggiucchio parti del Quijote (Sancho è restio ad entrare nella locanda che, solo dopo, si scoprirà essere quella di Palomeque, e quante cose accadranno dentro quello spazio così ristretto, eppure così amplio da contenere le storie di mille personaggi secondari - attaccati alla trama principale nei modi più svariati dell'ingegnosità tipica cervantina). Intanto, ripenso a una critica di Alyssa: troppo prolisso. A volte le cose che dico potrei dirle meglio in meno parole. Ho qui una citazione che fa al caso (mio? suo? nostro?):

"Io stesso, che faccio uno scrupolo straordinario di mentire e che non mi curo affatto di dar credito e autorità a quello che dico, mi accorgo tuttavia, nei ragionamenti che faccio, che, infiammato o dalla resistenza d’un altro o dallo stesso calore della narrazione, ingrandisco e gonfio il mio argomento con la voce, i gesti, il vigore e la forza delle parole, e anche estendendolo e ampliandolo, non senza danno per la verità pura. Ma lo faccio tuttavia in modo tale che al primo che mi fa tornare in me e mi domanda la verità nuda e cruda, io abbandono subito il mio sforzo e gliela presento, senza esagerazione, senza enfasi e senza riempitivi. Il parlare vivo e rumoroso, come di solito è il mio, si lascia andare volentieri all’iperbole".

Dal vangelo secondo Michel (de Montaigne), vol II dell'edizione "Adelphi", libro III, capitolo XI, p. 1372. Evviva l'iperbole... Sottolineo: "non senza danno per la verità pura".

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