martes, febrero 23, 2010

Film come Paranormal Activity e Avatar, ovvero: della lunga durata al cinema



E' ovvio che anche solo tentare un raffronto (o un confronto, un paragone, una comparazione attenta) tra Paranormal Activity (regia di Oren Peli, USA, 2009) e Avatar (regia di James Cameron, USA, 2009) può suonare assurdo, vano se non, addirittura, fuori luogo. E però (mi) ci provo: perché mi è piaciuto (almeno fino a pochi minuti prima del finale) l'opera prima di Oren Peli? Perché, sfruttando con pochissimi mezzi tecnici la ricchezza semantica e la profondità di campo che può creare un semplice recadrage (inquadratura prodotta all'interno dell'inquadratura più "generale" dello schermo cinematografico - in questo caso specifico, quella che crea la porta lasciata sempre aperta della camera da letto in cui giacciono i due fidanzati protagonisti del film, con lei alquanto "spaventata" e "indemoniata" e lui alquanto "saputello" e "spavalduccio"), Peli riesce a trasmettere l'ansia, la suspense e la paura più pura di un ambiente claustrofobico come può diventare la nostra alcova (o camera da letto) se ce l'immaginiamo infestata da fantasmi o "oscure presenze".


Unico neo: il finale, proprio perché spiega troppo quanto, invece e a mio parere, doveva restare avvolto nel mistero (che poi Peli scelga deliberatamente di girare tre diversi finali; e che poi ognuno dei tre finali proposti finisca con il togliere ulteriore aura paurosa all'intera trama - finale 1: con lei che uccide il fidanzato e torna su, con la telecamera che continua a girare, e dopo ore e ore di dondolio con il coltellaccio insanguinato in mano, si risveglia solo davanti alla luce della torcia del poliziotto accorso per verificare cosa succede in quella casa e, smarrita e senza piena coscienza di quanto ha fatto, si avvicina ai poliziotti e questi le sparano, freddandola per sempre; finale 2: con lei che uccide il suo fidanzato e torna su in camera e, dopo un sorriso inquietante lanciato verso la telecamera, si taglia la gola senza fare una piega; finale 3: con lei che uccide il fidanzato e non torna su; la telecamera continua a riprendere tutto, finché non è il corpo del ragazzo a finire scaraventato addosso alla stessa, che cade e riprende la camera da letto da un angolo tutto storto - è un'altra questione su cui altri, più esperti o appassionati di me, potranno dibattere a lungo). Non era meglio lasciare allo spettatore la libertà d'immaginarsi da solo una spiegazione a quei fatti tanto "paranormali"?

E passiamo all'ultima opera di James Cameron: Avatar è il film che celebra la carriera ormai ventennale di un regista che le storie per immagini sa raccontarle come pochi altri (pensiamo al rivoluzionario Terminator (1984) o a quel piccolo gioiello di claustrofobia fantascientifica che èThe Abyss (1989) o allo stranoto e melodrammatico Titanic (1997) - e se ci pensiamo bene sono solo tre film, pochini, ma tutti ad altissimi livelli, sia per quanto concerne la trama - il racconto - ilplot che li struttura sia per quanto concerne la forma - il linguaggio cinematografico - la tecnica scelta per girare determinate scene; con Avatar fanno quattro film; dimenticavo! C'è pure Aliens -Scontro finale, del 1986, ovvero: il sequel del capolavoro di Ridley Scott; insomma, con soli cinque film Cameron ha fatto bingo, sbancando ai botteghini dei cinema di tutto il mondo e, addirittura, con l'ultimo film, battendo se stesso e il record che aveva fissato con il film sul "Titanic").

Perché non mi ha convinto Avatar? Perché parto proprio dalla pars destruens e non da quella costruens? Non lo so: so solo che, una volta tolti gli occhialini per vedere il formato 3D, ha cominciato a farmi leggermente male la capoccia. Avatar è un film "spettacolare", che coinvolge tutti e cinque i sensi di cui siamo dotati, che spiazza e riempie la retina degli occhi di colori e immagini mai viste prima, ma che, alla fine, sembra più "stordire" che "colpire" in profondità. La storia non è affatto originale; ma questo è un difetto che, se vogliamo, possiamo riscontrare anche in Titanic; il punto è che qui la forma (la tecnica) sembra essere tutta schierata a danno della storia stessa; come dire: gli effetti speciali sovrastano di gran lunga il piano narrativo; e uno si domanda che senso abbia sprecare tanto denaro, dare vita a tanti fuochi artificiali, se poi, quello che più conta al cinema, è raccontare una bella storia nel migliore dei modi possibili.

Insomma, credo che se Avatar resterà negli annali della Settima Arte, sarà più per la sua "forma" che per il suo (già visto e rivisto) "contenuto". Quando, invece, in film come Terminatoro Titanic, la forma è parte fondante del contenuto (è consustanziale allo stesso), come lo spettatore può intuire sin dalle prime scene dei film in questione.

Quanto resisteranno, nel tempo, due film come Paranormal Activity e Avatar? Non lo sappiamo, ovvio, e nemmeno possiamo prevederlo. Io però ancora oggi continuo ad emozionarmi a guardare la scena conclusiva di Tempi moderni (1936) o la scena del "balletto dei panini" de La febbre dell'oro (1925) di Charlie Chaplin...Anche in quel caso si tratta di effetti speciali. O, se vogliamo, di "fenomeni paranormali". Solo che resistono al passare degli anni (o dei secoli). Mentre quelli usati in questi due film sembrano lasciare tracce fin troppo delebili nei nostri cervelli abituati alle immagini più strane e iperrealistiche degli attuali "tempi moderni".

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