jueves, febrero 18, 2010

Tempus ruit (pare)


Esiste un modo per tornare indietro nel tempo? Perché ci è impossibile rifare il percorso all’incontrario e cogliere quell’occasione che, allora, scartammo e ci lasciammo scappare considerandola pericolosa, rischiosa, troppo alta per le nostre capacità? Il tempo è sempre stato indicato, segnalato e rappresentato sin dall’antichità o come una curva o come una freccia. Tempo ciclico e tempo lineare. Un tempo (il primo) che si ripete all’infinito (il “tutto scorre” eracliteo) e un tempo (il secondo) che ha avuto origine nel momento stesso in cui Dio creò il cielo e la terra e che avrà fine il giorno dell’Apocalisse (quando tutti i morti risorgeranno e, si suppone, non ci saranno più vivi a circolare liberi sulla Terra).

Io vorrei tornare indietro per chiedere scusa a quella persona che tanti anni fa offesi senza nemmeno rendermi conto della gravità dell’offesa. E vorrei poterla rivedere in faccia, osservarne lo sguardo, per dirle tutto quello che avrei detto (e fatto) se fossi stato più attento e meno codardo…

Ma non si può: è contro la logica e contro natura. E il bello dell’essere vivente è che vive finché qualcuno gli da l’occasione di vivere; ossia, siamo animali con vita a scadenza. Prima o poi, l’energia che ci fa camminare (e pensare), che ci fa muovere su questo pianeta e ci fa distruggere il pianeta e noi stessi, è destinata a finire, “non con un boato, ma con un sospiro” (disse T.S. Eliot, se non ricordo male, in The Hollow Men). Sei vivente, ergo sei inserito dentro il tempo, sei permeato e fatto di attimi di tempo che scorrono e che tu, ingenuo, t’illudi di poter cronometrare e conteggiare, quando in realtà, noi non contiamo nulla…mai. E sono inutili gli alambicchi e le ipotesi filosofiche e le teorie scientifiche che tentano di trovare un teorema valido per sempre all’enigma (oscuro per sempre, ontologicamente enigmatico, mi verrebbe da dire, in perfetto stile “Vattimo”). Ci illudiamo di stabilire date; di fissare appuntamenti; di portare l’ora sugli orologi, ma non è così. E’ tutto un’illusione.

Chi sbaglia paga. Se hai perso tempo, nessuno te lo restituisce. Se usi male il tempo, peggio per te. Se allora non ti accorgesti di che cosa era meglio per te, è inutile (perfettamente inutile, direi) accorgersene a distanza di anni, quando si sa che non si può più rimediare. O forse no. Forse si può…quanti dubbi!

L’unica cosa certa è che, in natura, piante e animali nascono, crescono e muoiono senza avere alcuna coscienza dello scorrere dei giorni delle settimane (una pianta non sa quando è Lunedì; nemmeno un cane capisce quando è Sabato o Natale, o no?) o dei mesi e degli anni. Non sanno che siamo nel 2009 (e che tra un mese scarso passeremo al 2010). I loro ritmi biologici sono regolati per lo più dallo scorrere delle stagioni e dall’alternarsi quotidiano di giorno e notte (dal momento in cui il sole sorge a quello in cui va a dormire e tramonta, lasciando spazio alla luna…). Siamo noi, gli umani, ad avere coscienza della nostra stessa mortalità e caducità e, quindi, del nostro Essere in quanto “essere fatti di Tempo” (che Heidegger mi perdoni, ma credo sia così, giusto?). Siamo noi a capire che più le lancette dell’orologio scorrono più si fa vicino il momento della fine definitiva…

Gli scrittori dell’età classica greco-latina ci insegnano a contrastare il “pensiero della nostra stessa congenita mortalità” approfittando sempre del “momento presente”. E’ il famoso topos del carpe diem. Del domani non c’è certezza, è vero, ergo: sarebbe da sciocchi non approfittare di un momento se è un momento di felicità (ma cos’è la felicità? Quante domande!). Giovani lo si è solo nella fase in cui si è anagraficamente giovani (dall’adolescenza ai 20-25 anni), oppure lo si è sempre e solo d’animo, a prescindere da ciò che recita la mia carta d’identità? E se giovani lo si è anche e soprattutto di spirito, anche quando uno dovesse sentirsi giovane e comportarsi da giovane, potrà mai sperare di rivivere esattamente quelle sensazioni vissute quando era giovane solo dal punto di vista dell’età anagrafica? (che razza di domande!).

Certe volte mi sento vecchissimo: a 32 anni, mi sembra di aver vissuto già 3 o 4 vite diverse. Oggi, per esempio, che è il 30 Novembre del 2009 e che mi ritrovo a scrivere queste paranoiche pippe mentali dentro questa che è stata la mia stanza per otto anni e che non lo è stata più a partire dal 31 Dicembre del lontanissimo 2003... Oggi mi sento così vecchio se penso a quel mio “io” giovane che scriveva lettere d’amore romantiche su questa stessa scrivania (che porta, evidenti, i segni del tempo, ma non più di quanto non ne porti io – con qualche capello bianco in più in testa; e meno denti; e più cicatrici sul volto e rughe intorno agli occhi e sulla fronte; e più diottrie, ergo: occhiali dalle lenti più spesse...).

Mi sembra così assurdo e, al contempo, così appassionante, così sorprendente, sapere che 6 anni fa io qui dentro ci studiavo e ci dormivo e ci facevo l’amore, quando oggi non è più così e vivo lontano da Roma, pernotto preferibilmente a Firenze, anche se faccio qualche capatina a Pisa e sogno Madrid una notte sì e l’altra pure e non so se prima o poi tornerò a vivere in pianta stabile nella capitale (e mi farò seppellire davvero al Verano, come dice il mio profilo sulla sinistra di questo schermo) e mi faccio tante, troppe domande, e mi stupisco di essere ancora vivo, nonostante quello che ho vissuto o forse proprio grazie a quello che ho vissuto, scampandola per un pelo tante volte, sognando spesso di arrivare a un punto fermo, quando sembra che di punti fermi non ce ne siano affatto…

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