sábado, abril 24, 2010

La separazione del maschio di Francesco Piccolo (Torino, Einaudi, 2008)


Libro non disprezzabile, scritto con stile scarno, riflessivo, a tratti auto-ironico, a tratti cinico, la trama ruota attorno a un trauma: quello dell'abbandono e della fine di un matrimonio filtrati attraverso il punto di vista del "maschio", narratore e protagonista in prima persona della storia.

Chi è il "maschio"? A quanto si deduce dai pensieri che egli stesso mette per iscritto, il "maschio" è quell'uomo occidentale eterosessuale e di cultura medio-alta sulla quarantina che, se vede una bella donna per strada o in treno, non può fare a meno di provare a parlarci, a stabilirci un qualche tipo di contatto a sfondo erotico e non per forza fisico. E' uno che si sente in dovere di vedere come reagirà la potenziale "preda" da conquistare e amare (non un Don Giovanni, che ama e usa e getta le sue vittime; ma uno che, una volta conosciuta la donna amata, è capace di viverci una relazione amorosa anche per anni).

Il "maschio" del romanzo fa il montatore di professione e passa le giornate a studiare film fotogramma per fotogramma e a vivere una vita "normale" dividendosi tra: la moglie (Teresa), la figlia (Beatrice), e quattro amanti (o tre, ora non ricordo esattamente: Valeria, Alessandra, Monica, Francesca o giù di lì, non ho tenuto il conto esatto...).

Ciò che risulta inverosimile è proprio questo: non tanto il desiderio del protagonista di dimostrare come possa considerarsi assolutamente "normale" una persona che vive una vita così movimentata e senza alcun senso di colpa, quanto il fatto che riesca davvero a mantenere nervi e muscoli saldi grazie ai molteplici rapporti amoroso-erotici che mantiene con le varie amanti.

Ovvero: io ci credo (o posso credere) al fatto che un buon marito possa amare d'un amore folle la moglie e la figlia pur essendo un adultero (agli occhi della "morale comune"); ma non credo (o faccio molta fatica a credere) che si possa vivere una vita così movimentata con la tranquillità che ci trasmette questo personaggio che, se si scompone (e giustamente si scompone) è solo quando scopre che la moglie lo ricambia con la stessa moneta, portandosi uno sconosciuto in casa e facendoci sesso sul loro letto matrimoniale (letto che, tra le altre cose, l'adultero incallito aveva in precedenza usato allo stesso scopo).

"Nei film le persone si comportano in un modo diverso dalla vita vera, più intenso e preciso; non sono reticenti e si occupano poco di cose pratiche: si parlano, si spiegano, capiscono, riescono a dire che sono cambiati e in che modo, dicono è vero hai ragione non mi comporterò più così, chiedono se saranno amati per tutta la vita e sono lì non solo a vivere ma anche a riflettere sulla vita, a cercare di capire che vita intendono vivere. Mi piacerebbe molto riuscire a comportarmi così, come nei film" (p. 18).

Ed è proprio questo che, in certi brani, affossa il romanzo: il fatto, cioè, che chi racconta sembra troppo impegnato a vedersi vivere come in un film (o in un romanzo), troppo teso a riflettere, senza vero dolore, senza un impegno radicale, senza troppa convinzione o con una convinzione che sembra da attore di film (o di teatro).

Non mancano spunti interessanti, frasi dal tono aforistico, su quanto è difficile vivere in coppia, come queste, in cui è facile riconoscersi:

"Ognuno di noi ha una percentuale di vita sconosciuta al proprio compagno di vita. Ed è uno spicchio di varia grandezza, ma vitale" (p. 133);

"Essere una persona che l'altro non conosce significa fare fatica per farsi conoscere nel modo più preciso (nel modo migliore, anche), quindi fare teatro di sé, mettersi in mostra, essere frettolosi riguardo a preferenze (io sono fatto così, a me piacciono queste cose) - insieme a quella tendenza imbecille alla condivisione che viene spontanea (succede anche a me, io sono uguale a te) per cui tendi a conteggiare la quantità di somiglianze, a dare importanza a ogni coincidenza buona; così smorzi l'importanza delle differenze. Un modo contrario di procedere rispetto alla convivenza (o alle lunghe relazioni), dove le differenze vengono sottolineate per non vederle soccombere: in una conoscenza in atto, la propria personalità fa finta di venir fuori tutta il più presto possibile, ma invece, mentre sembra spontanea, è controllata, guidata, smorzata, instradata nel binario più conveniente. Un amore lungo ti rilassa, fa in modo che ti abbandoni a essere come sei; questa è l'intimità, la verità" (id., pp. 135-136).

Le parti migliori: i brani in cui l'io ci parla del suo essere padre e dei rapporti ancestrali tra un padre e una figlia; e la foto di copertina di Carla Cerati (cfr. supra).

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