viernes, abril 16, 2010

Niccolò Ammaniti, Che la festa cominci: il punto, purtroppo, è che non è mai cominciata...

Partiamo da un dato di fatto: io di questo scrittore tanto osannato dal pubblico e dalla critica non avevo mai letto nulla prima d'oggi; nella mia biblioteca figura soltanto un altro dei suoi romanzi, Io non ho paura (del 2001, per Einaudi), da cui Gabriele Salvatores ha tratto l'omonimo film (che sì ho visto, al cinema, e mi piacque pure parecchio). L'altro giorno, invece, e grazie a una collega pisana, entro in contatto con l'ultima fatica di Ammaniti, ovvero: Che la festa cominci (Torino, Einaudi, 2009). Ora, a lettura finita, mi viene subito questo pensiero: mai libro ha smentito in modo più eclatante quanto il suo titolo sembrava preannunciare e promettere; di fatto, la festa, in questo libro e ahinoi, non comincia mai. O stenta a partire e, anche quando parte, delude non poco.

Perché? Da dove nasce questo senso di scontentezza, di delusione, di "perdita di tempo" dopo la lettura? Da dove deriva tutta questa mia gioia di aver "solo" letto il libro, senza averci speso degli euro nell'acquistarlo?

a) La trama: banale e, nonostante alcuni guizzi simpatici, scontata. Scrittore famoso, bello e dannato, intellettuale di sinistra (per quanto ancora oggi si possa essere intellettuali in Italia e "di sinistra"...vabbè, sorvoliamo sull'aggettivo...e "non facciamoci del male", parafrasando Nanni Moretti), finisce col partecipare, malgré lui, a un mega-party organizzato a Villa Ada da un ricco imprenditore di Latina (o era di Rieti?) che, arricchitosi in modo losco, gode nell'ostentare tutta la propria volgarità provincialotta e lussureggiante. Villa Ada è diventata, di fatto, la sua reggia privata, un parco tematico popolato da bestie feroci, manco fossimo in Amazzonia. Il guizzo: in quel party si ritroveranno anche tre membri appartenenti a una specie di setta satanica da strapazzo e una comunità di ex-comunisti russi sfuggiti al regime stalinista e nascostisi per decenni nei sotterranei del parco, come i primi cristiani dentro le catacombe. Ma, ripeto, a parte questi spunti originali, che potevano dare spazio a invenzioni narrative davvero esilaranti, la trama è scontata, prevedibile, già vista, a tratti sinceramente inverosimile, e poi, anche questi poveri russi ex-comunisti, insomma, un po' ci fanno pena e un po' ci muovono al riso, ma la loro "tragedia" s'incastra davvero male con il tentativo di "omicidio-suicidio" di gruppo della setta satanica...Tutto questo per dire che ci sono dei brani in cui uno ride per non piangere. E questo non va bene, se parliamo di uno degli scrittori più famosi e quotati all'interno del panorama della Letteratura Italiana Contemporanea; ma passiamo oltre:

b) lo stile: sciatto, piano, monotono, il linguaggio che usa Ammaniti per narrare la storia sembra essere stato prelevato di peso dall'italiano medio e romanizzato di certi film dei fratelli Vanzina con l'intento di farne, in parte, la parodia. Ma la parodia di una parodia è impresa non facile e a meno che uno non si senta un po' Cervantes è difficile che riesca nell'impresa. Un esempio a caso: la scena in cui la futura moglie del futuro capo della setta satanica da strapazzo propone a quest'ultimo un pompino (la scena in sé potrebbe anche esser simpatica, ma non decolla, non va oltre una "rappresentazione parodica" di un certo tipo di donne, e di realtà sociali nostrane salite ultimamente alla ribalta della cronaca...):

Lei si era data una ravviata ai capelli e gli aveva chiesto: - Ti va un pompino?

A Saverio era sembrato che gli avesse chiesto se voleva un pompino. Ma doveva aver capito male. Doveva avergli chiesto se voleva un cappuccino.

-Il distributore è rotto... Dovrebbero ripararlo in settimana.

-Ti ho domandato se ti va un pompino.

Saverio non poteva credere alle sue orecchie. Forse i funghi della pizza erano allucinogeni.

Continuava a guardarla a bocca spalancata, come un idiota.

-Allora? - Lei, masticando la gomma, aveva ripetuto la domanda proprio come se gli chiedesse se voleva un cappuccino.

-Come?

-Lo vuoi o no? - Serena cominciava a stufarsi.

-Come? - La mente di Saverio era in stallo..

-Non lo conosci? Il pompino è una pratica sessuale per cui io ti prendo l'uccello e lo ciuccio.

Perché gli stava facendo questo? Che le aveva fatto di male?

Era ovvio. Era una trappola per poterlo accusare di molestie sessuali come nei film americani" (id., p. 208).

E uno si domanda: come si può essere così poco eleganti? Cosa sarebbe diventata una scena simile se a scriverla fosse stato un Céline, un Proust, un Joyce, o, abbassando la media e limando di molto le aspettative - volando più basso e con riferimento agli altri capostipiti della letteratura nostrana -, un Sandro Veronesi, un Tiziano Scarpa, un'Isabella Santacroce o una Simona Vinci?

c) l'intento falsamente moralizzante: quello che dà fastidio è il tono che assume il personaggio dello scrittore famoso all'interno della trama. E' come se tutti gli altri fossero dei "malfattori" o dei "rappresentanti del Male" e solo lui fosse "buono" o degno di rispetto e d'autorità. Questo scrittore, che s'ingegna a presentarcisi come un personaggio positivo e simpatico, uno che è comunque "politicamente scorretto", risulta antipatico proprio perché si sforza di mostrarci dov'è che sta la parte della ragione e dove quella del torto. Se finisce in quel mega-party, lui che è un intellettuale e, per di più di sinistra, non è certo perché si sente o si immagina assimilabile alla schiera dei vip invitati dall'imprenditore, ma perché spera di poter denunciare la "crisi di valori" in cui siamo precipitati tutti per colpa di quegli imprenditori che arrivano a comprarsi Villa Ada per farne residenza privata e di divertimento. Se Ammaniti vuole fare un ritratto satirico di certa classe di scrittori, con lo scrittore che mette in scena in questo libro, fallisce il bersaglio: quando la festa sarà ormai bella e finita, il protagonista continuerà a fare la parte del "saputello", simpatico e smascheratore di torti, senza avere alcuna autorità in questo campo...continuando, insomma, a presentarsi come un fantoccio poco incisivo...

E uno si domanda se Niccolò Ammaniti non avesse dovuto riflettere un po' di più, prima di mandare alle stampe un romanzo del genere...E, in più, uno che ora ha questo pregiudizio, si domanda se mai riuscirà ad aprire Io non ho paura o qualsiasi altro libro da lui firmato, senza farsi influenzare da quello stesso pregiudizio che lo spinge a catalogare l'autore come uno dei tanti che, chissà come e quando e perché, sono finiti nel gran calderone dei "più venduti in Italia" o dei "più rappresentativi del panorama letterario italiano contemporaneo"...

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