lunes, octubre 04, 2010

Alberto Manguel, Tutti gli uomini sono bugiardi (2008), Milano, Feltrinelli, 2010 (tr. it. a cura di Elena Liverani)

Ero proprio curioso di vedere come se la sarebbe cavata Alberto Manguel (saggista, bibliofilo e, da giovane, lettore personale di Jorge Luis Borges) nei panni del romanziere e devo dire subito che Todos los hombres son mentirosos mi è piaciuto molto... (a chi, invece, non conosce Manguel, consiglierei caldamente quel bellissimo saggio che s'intitola Una historia de la lectura, di cui esiste anche una versione italiana per Feltrinelli).

Chi è Alejandro Bevilacqua, il presunto autore del romanzo Elogio della menzogna? (titolo che più “borgesiano” non si può...). Ecco: il romanzo parte da questa domanda e si sviluppa sotto forma di detective novel: a porre le domande è il giornalista francese (dal cognome spagnolo) Jean-Luc Terradillos (come si scoprirà nell'ultima pagina); a rispondere, invece, saranno 4 o 5 conoscenti (amanti, colleghi o amici) dello scrittore, apparentemente morto suicida dopo essersi gettato dalla finestra dell'appartamento madrileno in cui visse da esiliato.

La struttura del romanzo è quella, classica, della “biografia romanzata”; la trama procede attraverso i salti temporali interni che evocano le diverse testimonianze; il personaggio centrale si presenta e resta come un mistero, uno specchio i cui pezzi non si possono più rimontare. La realtà sfaccettata, la verità negata, l'impossibilità di scrivere (o di de-scrivere) la biografia di una persona: sono questi i perni intorno a cui ruota la visione “eterogenea” del mondo dell'autore.

In particolare, colpiscono del romanzo le pagine dedicate alla descrizione delle condizioni di vita dei “desaparecidos”: siamo in Argentina, negli anni 70, all'epoca delle torture e dei sequestri lampo (o delle sparizioni di massa) dei regimi militari e, in Cile, della dittatura di Pinochet. Ebbene, in queste pagine, Alberto Manguel riesce a farci respirare da vicino l'aria torbida, l'inquinamento ideologico generalizzato e la sofferenza fisica che hanno vissuto sulla loro pelle migliaia di giovani contrari al regime (o che fecero della politica una loro missione di vita). In tal senso è il cap. 4 (“Studio della paura”) quello più efficace: narrato in prima persona da una “spia” emigrata a Madrid per denunciare o scovare gli scrittori o i giovani contrari al regime, ci permette di entrare in contatto con un passato recente in cui, alla voglia di libertà degli spagnoli per via dell'imminente crollo del Franchismo, fa da contraltare la voglia di fuga e l'inquietudine esistenziale di una parte di quegli scrittori esuli che daranno poi vita al cosiddetto “boom latinoamericano”...

Tra tutti questi scrittori, Alejandro Bevilacqua, una sorta di “desaparecido” delle lettere... O di Bartleby alla Enrique Vila-Matas (qui citato proprio a proposito di Bartleby y compañía, il suo libro sugli scrittori del No, o che hanno deciso di smettere di scrivere per i più svariati e variegati motivi).

La domanda iniziale resta (come è ovvio che sia) senza risposta; il libro si apre con una citazione da Montaigne e si chiude con una riflessione che, applicata ad Alejandro Bevilacqua, funziona perfettamente anche per noi lettori:

Come fare a sapere, fra tante figure che ci appaiono negli specchi, quale ci rappresenta con precisione e quale ci tradisce? Dal nostro infimo punto nel mondo, come possiamo osservare noi stessi, senza false immaginazioni? Come distingere la realtà dal desiderio?” (id., p. 169).

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