miércoles, mayo 09, 2012


Il comun denominatore (nelle Università italiane)



E poi, all’improvviso, arriva l’estate ed è tutto un rigoglio di maniche corte, pantaloni leggeri, giacche di puro lino, scarpe da tennis tutte colorate e il sorriso perenne sul volto delle persone per la presenza benevola (e per un periodo di tempo più lungo) del Sole (uno dei miei pianeti preferiti).

E così, il prof. che si trovasse a camminare in mezzo alla mandria variegata ed eterogenea dei suoi studenti (oltre che di quelli degli altri), noterebbe subito l’arrivo della bella stagione e sentirebbe anche un certo senso di vertigine, nel contemplare le curve di certe ragazze, i seni prosperosi di altre, le gambe tornite e già abbronzate di altre ancora (gli ormoni impazziscono, a volte mi gira la testa, e avrei voglia di non uscire dall’ufficio, troppa grazia, troppa abbondanza, Dio mio, mio Dio…).

E poi noterebbe anche un’altra cosa: le coppie di fidanzati che si abbracciano, si baciano, si tengono stretti per mano, si fanno i dispetti, si prendono in giro, ridendo e scherzando, scherzando e ridendo, spensierati e innamorati (ah! Beatà gioventù! Quant’è beata la gioventù! Che invidia, ragazzi!).

E, infine, riposandosi un attimo sotto l’ombra di un albero antistante la Facoltà (di Lettere e Filosofia), noterebbe quello che solo ora intuisce essere il comun denominatore di tutte le Università italiane che ha visitato fino ad oggi (o perché ci ha lavorato con contratto a tempo determinato, o perché vi ha pronunciato una delle sue tante conferenze, o perché semplicemente vi si è trovato di passaggio da semplice collega amico di altri colleghi che, pur abitando in città diverse, insegnano la sua stessa materia).

Ed è proprio questo qua il comun denominatore di tutte le Università italiane (da Trento a Palermo, da Udine a Catania, da Pisa a Roma, da Firenze a Lecce): le coppie di giovani che si amano e che esternano il loro amore baciandosi in pubblico, ignari di tutto, dei loro amici, dei passanti occasionali, ignari, soprattutto, si direbbe, dei proprio docenti (che fanno la faccia di chi guarda con invidia e vorrebbe censurare, ma non può; di chi ormai ha passato la giovinezza e si ritrova dalla parte degli “anta”; di chi può solo guardare e non toccare; di chi pensa: “Io e mia moglie…ma da quand’è che non ci baciamo a quel modo? Da quand’è che non ci diciamo le fatidiche parole?).

E allora uno pensa (il prof pensa): c’è ancora qualcosa di vivo e di vero, in questo Universo votato alla distruzione e al fallimento; c’è ancora un senso, in questa società fatta di materialismo e di consumismo sfrenati; c’è ancora chi, tra i 19 e i 26 anni, crede nell’amore e sogna ad occhi aperti; c’è ancora speranza, insomma, ragazzi… e questo vale ovunque, da Nord a Sud, da Est a Ovest, in questa povera patria ridotta a brandelli…

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