miércoles, mayo 30, 2012


¡Otra maldita novela sobre la guerra civil!, di Isaac Rosa: l’ennesimo romanzo sulla Guerra Civile spagnola (con autocritica inclusa)



Libro strano, questo che mi è capitato tra le mani recentemente, sin dal titolo: ¡Otra maldita novela sobre la guerra civil! (Barcelona, Seix Barral, 2007) del giovane scrittore sivigliano Isaac Rosa (è un mio quasi-coetaneo, essendo nato nel 1974). E’ strano, questo libro, dicevo, sin dal titolo: sulla Guerra Civile sono stati scritti moltissimi libri (saggi di Storia, reportage, romanzi, racconti, biografie e autobiografie dei protagonisti o delle involontarie comparse, costrette a fare da testimoni oculari di quegli eventi tragici – come sono tragici tutti quegli eventi che si succedono nel corso di una guerra – per non parlare poi dei film, delle opere teatrli o pittoriche, artistiche, in generale, che fanno della GC lo sfondo). E, quindi, risulta anomalo – o richiama subito l’attenzione dello studioso della letteratura della/sulla GC – un tale titolo.

In realtà, basta leggere anche il sottotitolo per capire il perché di questa scelta da parte di Rosa: “Lectura crítica de La malamemoria”, e allora uno inizia a capire a che gioca sta giocando l’autore.

La malamemoria è il primo romanzo (giovanile) di Isaac Rosa; apparve nel 1999, quando, appunto, l’autore aveva soltanto 24 anni. Ora, a distanza di tanti anni, Isaac Rosa decide di cambiargli il titolo e finge che l’opera venga ripubblicata insieme alle critiche aspre e ciniche, sferzanti e, a volte, quasi comiche di un anonimo lettore che, ad ogni fine capitolo, aggiunge la sua voce a quella del narratore per esprimere tutte le sue riserve, i suoi dubbi, le sue lamentele rispetto al testo appena letto…

Ecco, è questa ambivalenza di fondo, questo scontrarsi o contrapporsi di una voce con un’altra, del narratore con il lettore iper-critico, a rendere interessante la lettura del testo stesso.

Voglio dire: il lettore legge un romanzo (l’ennesimo!) sulla GC, ma, al contempo, ha modo di leggere le reazioni che questo romanzo provoca nel critico iper-critico che lo smonta, analizza, rimonta, condanna in nome non solo dell’estetica, ma anche – a volte – dell’etica (e delle numerose questioni scottanti a essa correlata).

Che diritto ha il ventiquattrenne Rosa di inventarsi una trama come quella ci rifila per parlare della “cattiva memoria” (o dell’oblio) degli spagnoli (di molti spagnoli), negli anni della cosiddetta Transición nei confronti della tragedia della guerra fratricida? Come può un simile giovincello farsi carico di quel fardello (o dei problemi connessi al concetto stesso di “memoria storica” – ancora oggi, purtroppo, in Spagna non si riesce a trovare un accordo su cosa debba intendersi per “memoria storica” e su come ci si debba comportare nei confronti dei tanti morti – di ambe le fazioni contrarie – sotterrati nelle fosse comuni o nelle zone più cupe e dimenticate della guerra)?

La trama: Julián Santos, un giovane professore delle superiori, guadagna qualche soldo in più come “negro”, ovvero, ghost writer. Quando la vedova dell’ex-franchista e imprenditore Gonzalo Mariñas gli chiede di “abbellire” la biografia del marito, Santos accetta, non sapendo che, di lì a poco, verrà a conoscenza dei delitti atroci di cui s’è macchiato il potente ex-franchista di turno. Santos scopre che esiste un paese, Alcahaz, in cui le vedove di guerra stanno ancora aspettando il ritorno dei loro mariti, credendoli ancora vivi. E scopre che a volte dimenticare è l’unico strumento che abbiamo per poter continuare a sperare e a vivere.

Ecco, quando leggo il capitolo in cui Santos finisce per “dormire” accanto a una delle vedove che lo crede “Pedro” (suo marito), io mi emoziono, penso subito a un film horror di cui non ricordo il titolo, e il critico cosa fa, a fine capitolo? Mi smonta, mostrandomi com’è ovvio, scontato, un simile trucchetto letterario: paese abbandonato e scomparso dalle cartine geografiche di Spagna, abitato da vedove impazzite per la solitudine e il mancato ritorno dei mariti, in cui è facile essere scambiati per un altro e vedere fantasmi del passato a ogni angolo di strada…

Sta tutta qui la trovata di ¡Otra maldita novela sobre la guerra civil!: a volte convince, altre volte disturba; comunque sia, va sottolineata la spinta all’auto-critica dell’autore, ormai cresciuto e capace d’inventarsi questa seconda maschera per fare auto-analisi (certo, niente a che vedere con il capolavoro di Nabokov, Fuoco pallido, costruito con una struttura a due voci per certi versi simile a questa). E va anche riconosciuto che poter ascoltare “dal vivo” la voce di un critico come quello che commenta questo libro induce a riflettere: su cosa sia la letteratura, cosa faccia di un libro un’opera letteraria (o meno), come si possa ancora oggi rievocare il passato della Storia da cui veniamo.

In Italia, Isaac Rosa è stato tradotto dalla (a me sconosciuta) casa editrice “Gran Via”; questi i titoli disponibili: a) Il vano ieri (apparso nel 2007 e tra le sue opere di maggior successo e più elogiate dalla critica); b) Il paese della paura (apparso nel 2010).

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