Io
e il mio corpo
Io e il mio corpo andiamo piuttosto d’accordo: conviviamo ormai da 37 anni sotto
lo stesso tetto (o meglio, sotto lo stesso “cervello”) – anche se mancano
ancora 11 mesi alla fatidica data – e seppure abbiamo affrontato momenti di
crisi o di maretta (come succede anche nelle migliori case e nelle coppie più
affiatate), possiamo affermare con tranquillità e senza tema di smentite che ci
siamo reciprocamente simpatici e che ci vogliamo davvero un bene dell’anima.
Io
e il mio corpo cresciamo letteralmente insieme, influenzandoci a vicenda, ogni
giorno, a ogni ora, a ogni minuto, a ogni secondo che passa. Anche perché
entrambi siamo coscienti del significato della frase di quel genio di Montaigne
che era solito dire che “il mio io di adesso e il mio io di poco fa siamo certo
due” (cambiamo in continuazione, anche se non ce ne accorgiamo, e se pensiamo
alla velocità con cui si susseguono i cambiamenti, potremmo restare a bocca
aperta).
Io
e il mio corpo siamo diventati due cose diverse dal giorno in cui siamo venuti
al mondo fino alla fase dell’infanzia (con quella foto accanto a Roby, un cane
che più fedele di quello si muore) e poi fino all’adolescenza (con quella massa
di capelli alla “giamaicana”, tutti ricci e spettinati di cui ora sento un’immensa
mancanza) fino ad arrivare a oggi (in questa foto accanto alla mia dolce metà
sembro quasi calvo; i capelli stanno abbandonando il mio cranio ad una velocità
supersonica – ed è anche per questo non mi affido alle mani – o ai consigli –
di un tricologo: è del tutto inutile, non puoi contrastare la forza di gravità
con creme o pomate o liquidi speciali per il cuoio capelluto; se i capelli
hanno deciso che cadranno, ebbene, allora essi cadranno, non c’è scampo alcuno
e la forza di gravità vince su tutto).
Ma
se ci spostiamo sul piano “spaziale” – mettendo da parte per un attimo quello
“temporale” – ecco che la riflessione diventa ancor più vertiginosa: io e il
mio corpo abbiamo vissuto in diverse città e in un numero notevole di camere,
appartamenti, case e quartieri.
All’inizio,
nei primi momenti di vita, quando emettere un vagito era già pretendere di
comporre una frase di senso compiuto, nemmeno ci rendevamo bene conto di dove
fossimo (quel lettino così bianco, quell’orsetto di peluche così grosso, quei
due estranei che facevano l’amore vicino a quel lettino bianco ancor prima che
potessimo capire che quello era, effettivamente, “far l’amore”) e del fatto che
si trattasse di un paesino sui monti abruzzesi.
Poi
ci siamo trasferiti a Roma, la capitale d’Italia, caotica e bellissima, con le
sue mille strade e i suoi assurdi ingorghi, e abbiamo cominciato a sperimentare
la vita universitaria, le canne, i primi amori, i baci rubati o mai dati
(smettila con questo tono romantico e sdolcinato), le lunghe discussioni
intorno alla terza critica kantiana (smettila anche col tono del saputello), le
scoperte sensazionali, gli esami superati a occhi chiusi, le sbronze, il primo
Maggio a San Giovanni, i film di Ejzensteijn al “Forte Prenestino”, le
interminabili file alla mensa di Economia o a quella in Via Cesare De Lollis,
ah, ne abbiamo combinate delle belle, io e il mio corpo, in quegli anni là
(tono Moccia? Per carità di Dio!).
E
poi Pisa, con la famosa Torre e la splendida Piazza Dei Miracoli (dove andavamo
a prendere il sole quando marinavamo con Mario e Enzo le lezioni del Dottorato)
e poi Firenze, quando andammo a convivere con una delle ragazze più importanti
della nostra vita (una delle relazioni più lunghe e più complicate e, proprio
per questo, anche “più avvolgenti”, della nostra vita – dopo lei sarebbe andata
in sposa ad un altro e molto meglio così, se ci pensiamo bene, perché
altrimenti ci saremmo auto-distrutti a vicenda) e il lavoro in hotel (svolto
senza troppo impegno) e quello a scuola, da supplente (svolto sempre con
moltissimo impegno), e poi ancora Empoli, e Siena, e Arezzo, ho fatto il giro
della Toscana io, assieme al mio povero corpo di giovane di belle speranze…
E
poi Madrid, dove ho convissuto con tanta gente diversa e di diverse
nazionalità, e Sevilla e Granada e Córdoba e Santander e Valencia e Murcia e
Toledo e Gijón e Santiago de Compostela, ho girato quasi più la Spagna che
l’Italia, insieme al mio corpo da nomade viaggiatore e girovago (se non parto
almeno una volta al mese, ormai, mi sento male – ma è lui, è il mio corpo che
me lo chiede).
E
ancora: Parigi (una settimana a mangiare baguettes e croissants e a passeggiare
sul Lungo Senna, facendoci le foto di rito sotto la Tour Eiffel) e la Tunisia
(dove sfornano un pane ottimo a ogni ora del dì e della notte) e la Turchia
(vivendo la magia di Istanbul, una delle capitali più colorate, chiassose,
trafficate e vivaci che conosca) e l’Austria (per mangiare le famose “palle di
Mozart”) e l’Ungheria (come dimenticare il famoso Lago Balaton e lo stile anni
80 di alcuni pedoni di Budapest?) e il Beglio (per assaggiare i famosi gouffres e i deliziosi macarons) e ancora mi manca Berlino e Londra e tante
altre città da vedere con questi occhi qua e da percorrere con queste gambe
qua, e ancora la Spagna, dove vivo ormai in pianta stabile da quasi 7 mesi e
dove spero di continuare a vivere (perché la Spagna mi rende più giovane, è
ovvio).
E
se penso anche alle persone con cui è entrato in contatto questo mio corpo e ai
corpi con cui ho avuto una certa confidenza, diciamo pure: con cui ho scambiato
intimità ad alto grado di erotismo, i corpi che si sono intrecciati al mio, che
lo hanno avvinghiato, graffiato, carezzato, baciato, succhiato, scosso, smosso,
coccolato, vezzeggiato, ah, quanti romanzi interessanti si potrebbero scrivere
parlando di due (o più corpi) che s’incontrano! (un po’ come fa Lars von Trier
in quell’esperimento che ancora non so se è riuscito o meno che s’intitola Nymphomaniac – in uscita in Italia ad
Aprile).
E
la sorpresa di scoprire che ogni corpo è diverso e che il mio stesso corpo
cambia e si adatta e si plasma in accordo all’altro con cui entra in contatto (mi
riferisco in tal caso ad un contatto di tipo intimo o passionale o sessuale o tutte
e tre le cose insieme)… per cui scopri che ogni donna raggiunge l’orgasmo in un
modo diverso e ognuna è un mondo a sé e bisogna concentrarsi e avere pazienza e
curiosità e molta, molta umiltà, all’inizio, per capire come lei raggiunge l’acme,
e poi scoprire anche il piacere che mi provoca provocare piacere all’altra
persona che mi sta di fronte o sotto o di lato o sopra o in diagonale – dipende
dai casi…quante, Dio mio, quante variazioni sul tema (il sesso come musica,
l’orgasmo come il punto finale, risolutivo, apoteosico della sinfonia creata in
accordo con gli accordi della partner – quando dico alla mia compagna di
sventure che “regalare orgasmi è una delle mie missioni su questa Terra”, lei
ride e mi accusa di arrivismo o manie di grandezza, “ma quanto esageri, quanto
sei esagerato, e poi è impossibile, non saprai mai come gode questa o
quell’altra, a un certo punto ti dovrai fermare, non puoi scoparti l’universo
mondo” – e lei non sa che ho già pensato di fermarmi e di restare con lei il
resto dei miei giorni – ma, appunto, questo
non lo verrà mai a sapere perché lei non è un’assidua lettrice di questo diario
al bordo dei bordi…).
Io
e il mio corpo abbiamo scambiato baci e carezze e piacere con altri corpi e
alcuni di questi ora non so più nemmeno dove abitano e se sono felici, ora che
si sono sposati o accoppiati con altri corpi ancora, diversi dal mio (o forse
solo lontanamente simili e somiglianti al mio).
Io
e il mio corpo abbiamo conosciuto tanti altri corpi interessanti, di persone
dotate di cervelli davvero in gamba, e aperti e stimolanti. Cervelli e corpi –
anche – di persone che ora non ci sono più perché sono morte e uno si domanda
che fine faranno i corpi sotto terra, quando uno opta per la sepoltura e non
per la cremazione (più pulita, anche se più fredda, forse, come operazione
“ultima” e “definitiva”) e vengono i brividi al solo pensiero di come si sta là
sotto (cfr. il capitolo 6 dell’Ulisse di
James Joyce, quando si parla dell’azione distruttrice – o non è forse anche
“purificatrice”? – dei vermi che mangiano la carne umana, troppa impressione),
meglio cambiare discorso.
Insomma,
passano gli anni, cambiano i luoghi in cui vivo, ma io e il mio corpo
continuiamo ad esplorare: realtà, vite, altri corpi che ci capita d’incontrare
lungo il camino, libri e film e opere d’arte varia… Quanti libri abbiamo letto
e continuiamo a leggere ancora oggi io e il mio corpo! E quanti film vediamo o
ci ripromettiamo di vedere, distesi sul sofà, accanto alla nostra fantastica compagna
di sventure!
E
col passare degli anni io e il mio corpo iniziamo a preoccuparci anche per le
prime rughe che spuntano implacabili e per le borse sotto gli occhi, ma sono problemi
secondari, l’importante è andare d’accordo e non finire (mai più?)
all’ospedale, come ci è capitato a Ferragosto, quando essere costretti a letto
e in pigiama diventa una vera tortura, quando uno si accorge che godere della
salute del proprio corpo è un miracolo, è quasi un dono quotidiano, una grande
opportunità, una chance da sfruttare al massimo (e non pensiamo a cosa accadrà
dopo, quando sopraggiungerà la vecchiaia, quello è un capitolo che per ora io e
il mio corpo abbiamo deciso volutamente d'ignorare).
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