sábado, diciembre 05, 2020

 Into the night (1985) di John Landis e After Hour (1985) di Martin Scorsese: due film allo specchio (e speculari)


L'altra notte, in preda all'insonnia e per passare il tempo, mi sono messo a riguardare After Hour (noto in italiano col titolo alla Enrico Ghezzi Fuori orario), un vecchio film degli anni 80 di Martin Scorsese. Si tratta di uno di quei film che mi ha sempre colpito perché girato con una libertà creativa, un'inventiva, un ritmo accelerato davvero notevoli. Si nota immediatamente che quando il regista italoamericano si mise a lavorare su questo progetto aveva l'urgenza di dire qualcosa, di sfogarsi, di utilizzare il cinema per conoscersi meglio (cosa che aveva già fatto nel 1980 con Toro scatenato (Raging Bull, il titolo originale) e che ha rifatto, ultimamente, con quel capolavoro dissacrante e spettacolare che è The Wolf of Wall Street, del 2013, con un Leonardo Di Caprio da Oscar).

Ma di che parla, esattamente, After Hour? E perché mi piace così tanto?


Diciamo che parla di un uomo qualunque (Griffin Dunn, in foto) che, dopo una giornata di faticaccia a lavorare in ufficio, decide di andare a bere qualcosa in un pub di Soho e che, dopo aver scambiato quattro chiacchiere con una bella fanciulla (Rosanna Arquette), non riuscirà più a tornare a casa. La ragazza lo invoglierà ad andarla a trovare in casa di un'amica scultrice e da lì in poi il film narrerà la sarabanda assurda e grottesca d'intoppi e di incidenti cui dovrà andare incontro questo novello Ulisse prima di tornare nella sua Itaca (sotto forma di scultura imballata e spedita direttamente nel suo ufficio il mattino dopo).


È ovvio che Scorsese prosegue quel discorso sulla violenza, sui rapporti umani, su New York e sull'America in generale che aveva già intrapreso con Taxi Driver (1976); è ovvio pure che con questo film, a bassissimo budget e girato in poche settimane, Scorsese vuole tentare la strada dell'insolito, della sperimentazione, del discorso d'autore sulla società contemporanea. Ma se c'è qualcosa che, secondo me, spicca all'intero del tutto è il modo in cui questo povero Cristo si vede costretto a fare i conti con il sesso (e con l'altro sesso). Non c'è donna che gli si avvicini che non sarà destinata a turbarne la mente, a scombussolare i suoi piani, a sconvorgergli il desiderio di tornare a casa. Questo fotogramma la dice lunga sul "perturbante" freudiano che Scorsese va dipanando all'interno del film:



Se all'attore Griffin Dunn sostituite la faccia di Robert De Niro o di Tom Cruise, ecco, otterremmo lo stesso risultato: un uomo spaesato che teme la castrazione o che, guardandosi allo specchio, finisce con il contemplare un disegnino osceno che sembra parlare proprio di lui e della sua difficoltà a comunicare con le donne (sia a livello verbale che sul piano corporale). Ecco, ci sono dei momenti, nel corso della lunga nottata (o nottataccia) di questo povero Cristo che mi hanno evocato alcune scene di Eyes Wide Shut, dove, appunto, Tom Cruise, il dottore protagonista che Stanley Kubrick resuscita dal Doppio Sogno di Schnitlzer, si vede costretto a cozzare e a scontrarsi con varie donne che incarnano il suo Desiderio di Trasgressione e, al contempo, la sua Condanna alla Castrazione (gioco con le maiuscole, ovviamente, ma i richiami sono tanti: anche il protagonista di After Hour, esattamente come quello di Eyes Wide Shut, viene minacciato di morte; entrambi vivono la realtà come fosse un incubo - o come se la realtà si svolgesse su un piano onirico - i finali dei due film fanno anch'essi rima tra di loro).



Poi da Martin Scorsese sono passato a John Landis. Sì, perché guarda tu il caso, anche lui gira un film su un uomo qualunque costretto a vivere una notte d'incubo a causa dell'incontro fortuito con una bella ragazza: mi riferisco, ovviamente, a Into the Night (tradotto in italiano con Tutto in una notte), che è anch'esso del 1985 (si sono messi d'accordo? Non credo; né so in che rapporti siano Scorsese e Landis; di sicuro la casualità è abbastanza sorprendente).

E di che parla Into the Night? E, soprattutto, perché, in questa seconda visione (notturna, ovviamente) non mi è piaciuto tanto quanto la prima volta che lo vidi diciottenne (diciamo pure che non è piaciuto più)?



Diciamo che Into the Night parla di un uomo qualunque (un ingegnere aerospaziale, interpretato da Jeff Goldblum) che soffre d'insonnia e la cui moglie lo tradisce con un altro. L'ingegnere decide di seguire il consiglio di un amico: quando non riesci proprio a chiuedere occhio, vai in macchina all'aeroporto, prendi il primo volo per Los Angeles e vatti a divertire ai casinò (lì ci sono le donnine disposte a tutto, purché paghi). Il povero Cristo accetta il consiglio e, a partire dall'incontro fortuito con una bella ragazza che scappa da un gruppo di terroristi islamici (o presunti tali), sarà costretto a vivere un vero e proprio incubo ad occhi aperti. La bella ragazza fa rima con la Rosanna Arquette del film di Scorsese: mi riferisco, ovviamente, alla stupenda (e qui giovanissima) Michelle Pfeiffer:



Inutile dire che quest'incontro metterà in crisi il povero Cristo che, attratto dalla ragazza, proverà a farsi valere contro i nemici che la perseguitano e la rincorrono (tra cui David Bowie, uno dei tanti vip che appaiono in diversi cammei all'interno del film), e proverà a dimostrare il proprio coraggio da "macho", nonostante i suoi limiti e il proprio codice morale (la ragazza fugge dagli arabi perché ha sottratto loro - tramite un socio - sei smeraldi dal valore inestimabile).



Di nuovo, la notte (e il buio) saranno un elemento fondamentale del paesaggio sia fisico che mentale del film; di nuovo, i complessi di un uomo in crisi nei confronti del sesso e delle figure femminili diventerà parte importante della trama, come si può evincere da questo bel fotogramma intriso di desiderio e di voyeurismo:



Se nel caso di supra c'è un uomo che contempla preoccupato il disegnino sconcio di uno squalo coi denti aguzzi che sta per estirpare il pene di un omino stilizzato, qui abbiamo a che fare con il lato B della statuaria Michelle Pfeiffer mentre si spoglia in camera del fratello (un patito di Elvis Presley) prima di farsi una doccia: il "recadrage" non fa che amplificare il desiderio dello spettatore di poter sbirciare ancora meglio quel corpo femminile allettante e di poter entrare in camera da letto...ma non può, soprattutto perché il personaggio interpretato da Goldblum non se la sente o lo considera sbagliato (o scorretto dal punto di vista morale).

Ma perché, dunque, a mio modesto parere, questo film non ha la stessa carica di After Hour? Bene, procediamo per ordine e cominciano col dire che, forse, John Landis non avvertiva la stessa urgenza di "raccontare" di Scorsese quando girò questa commedia nera o pseudo-romantica. Non si nota, insomma, quella spinta creativa che c'è nel primo film. In secondo luogo, Into the Night pecca di lentezza: sembra quasi che John Landis giri in modo volutamente statico (o lento) rispetto ad altri suoi capolavori come, per citarne uno, The Blues Brothers (che è del 1980, ovvero, dello stesso anno di Toro Scatenato). Perfino i pochi inseguimenti in macchina che ci sono in questo film sembrano girati al rallenti, rispetto al film precedente. E quando si arriva alle scene più potenzialmente ricche di suspense, la suspense si sgonfia in un attimo (cfr. la scena in cui Goldblum entra nella camera d'albergo della ragazza e scopre i cadaveri sparsi sul pavimento).



After Hour finisce, come accennato sopra, nello stesso ufficio da cui parte tutto, da cui il nostro povero uomo qualunque esce per andarsi a fare una birra in santa pace; solo che questo stesso povero Cristo ora ci appare sotto forma di scultura umana (e invito tutti a guardare il film per capire come diavolo ci finisce a vivere in un corpo da statua surrealista); Into the Night finisce con un tipico happy ending all'americana: lui salva lei, lei ama lui, lui e lei partono in viaggio con il malloppo con il primo volo disponibile.

Anche solo osservando attentamente questi due finali si può intuire perché Scorsese è un regista che ha usato la macchina da presa per scoprire qualcosa di nuovo (su di sè, sul suo mondo, sull'essere umano, in generale) e perché, al contrario, John Landis l'ha usata per farsi un giretto notturno per le strade di Hollywood (tra cattivi che non fanno mai paura e donzelle che solo dopo tanti ostacoli riconoscono che quello che hanno accanto è un cavaliere che merita la loro attenzione e il loro amore).

Tratto in comune tra i due: la notte, intesa in quanto momento del giorno in cui i pericoli assumono connotazioni (anche) sessuali e non sono le protagoniste femminili ad avere paura del lupo, ma quelli maschili a vedere le donne come lupi pericolosi o che portano sulla cattiva strada.


The End*** Fine***Fin

No hay comentarios:

Publicar un comentario

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...