miércoles, abril 28, 2021

Le paure, le ansie, il tempo che scorre 


Dunque, mercoledì scorso, il 21 di aprile, la dottoressa (medico di famiglia) mi prescrive un antinfiammatorio per la gola e - come da prassi, visti i tempi - un tampone per appurare se ho il virus.

Alle 12:30 mi presento puntuale nella postazione organizzata ad hoc dalla mia ASL (o "Centro de Salud", che è come si dice ASL in spagnolo).

L'infemiera che mi fa sedere sull'apposita sedia è tutta intabarrata; da dietro la mascherina e la visiera riesco a intuire un sorriso falso. Il tono di voce è davvero freddo e poco empatico: "Siediti qui". Io tremo; lei rincara la dose: "È un po' antipatico, un po' sgradevole, ma passa subito". Bene. Penso fra me. Ma proprio a me doveva capitare un'infermiera antipatica?

Ed in effetti il bastoncino spinto fino al cervelletto fa male. Quando torno a casa e mi soffio il naso esce un po' di sangue, oltre al muco d'ordinanza. La dottoressa mi ha avvisato: entro le prossime 24 ore ti daremo il risultato. 

Bene.

In questo mondo pazzo odierno "negativo" è "positivo" e viceversa. Attendo fiducioso. Intanto, rimando una lezione il giorno dopo perché non ho quasi più voce. Passa tutto giovedì. Niente. Cellulare muto. Passa tutto venerdì. Niente. Nessuno che si faccia sentire. Allora, sabato mattino sono io che chiamo la ASL e dò il mio nome e il numero della carta d'identità. L'infermiera mi dice che a breve mi richiamerà la dottoressa, che ci deve essere stato un disguido. Ed in effetti la dottoressa mi chiama di lì a poco, è sabato mattina, sono ancora nel limbo, insomma, me lo vuole dire il risultato?

"È negativo, stia tranquillo. E le chiedo scusa, c'è stato uno spiacevole errore meccanico. Non mi hanno mandato il suo risultato nel mio computer. Non so come sia potuto succedere".

La gioia di ascoltare quella parolina: "negativo", fa sfumare la rabbia. Mi accascio a terra. La mia compagna di sventure apre la porta della camera e mi si avvinghia al collo e mi da un bel bacio sulla bocca. Non sono ancora morto. Sono anzi salvo. Sono vivo. Sono...

La notte, preda di una strana insonnia, guardo un video del 2015 in cui Remo Bodei, con la sua consueta eleganza ed erudizione umanista, parla dell'enigma del tempo. Cita Samuel Butler, di cui non ho mai letto nulla, e mi viene subito voglia di leggere Erewhon, una sorta di romanzo distopico che è anche una satire della società vittoriana. Letto al contrario, il titolo segnala un "non luogo" (Nowhere) che mi evoca subito i 3 giorni passati ad attendere la chiamata della dottoressa per sapere il risultato del test al coronavirus. 

Cerco su internet le varie edizioni del libro di Butler, sia in spagnolo che in italiano. Se ne trovano di recenti, ma anche di vecchie, risalenti agli anni 40 o 50 o 60. Sono tentato di comprare un'edizione del 1944 (traduzione a cura di Aldo Solari, la casa editrice - romana - si chiama, di fatto, "Editoriale Romana").

Poi ripenso a come è stato bello, lunedì 26 aprile, tornare a lavoro e guardare faccia a faccia amici e colleghi dell'Università. A come è bello respirare, malgrado la pandemia e le mascherine. A quanto mi piace il mio lavoro, quando la voce torna ad essere quella di sempre. A come è bello ricordare la commemorazione del 25 aprile, la domenica, la festa della liberazione dal nazi-fascismo. È bello sapere che in Italia certe date sono ancora importanti. E si festeggiano.

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