domingo, enero 21, 2024

 Cosa fare dei classici?


Un collega che conosco solo di vista e che ha fama d'intrattabile, di saccente, di superbo ha pubblicato un articolo che un amico appassionato del Quijote ha avuto la gentilezza di mandarmi via Whatsapp. Nell'articolo, il collega succitato, docente di Letteratura Spagnola, si chiedeva come mai i lettori odierni non leggono il Quijote, l'opera immortale del Manco di Lepanto, e le risposte erano tra le più ovvie: a) mancanza cronica di tempo; b) eccessiva lunghezza dell'opera (più di mille pagine, anche nelle edizioni tascabili e senza note al pie); c) eccessiva difficoltà nel leggere un testo del XVII sec. e, quindi, scritto in uno spagnolo ormai percepito come complesso e troppo distante dall'attuale; d) scarsa capacità di concentrazione del lettore odierno fin troppo abituato a leggere solo testi brevi o messaggi di poche righe (come quelli che ci si scambia sui social).

E allora mi è venuta in mente la seguente domanda: cosa fare dei classici? Come leggerli (o continuare a leggerli) nel XXI sec., il secolo dell'IA (= Intelligenza Artificiale), della rapidità, dell'iperconnessione cronica, della lettura costante ma sempre (solo, a volte) superficiale dei testi? Come insegnarli a scuola, se i ragazzi considerano "vetusto" o "preistorico" perfino un fumetto degli anni 40 come Topolino? Come insegnare l'Odissea o l'Eneide, la Divina Commedia o Shakespeare, Proust o Thomas Mann, se a molti lettori odierni mancano i riferimenti a quei miti, a quelle figure, a quei racconti primordiali, a quelle stesse opere letterarie che stanno alla base di Shakspeare o Proust o Thomas Mann?

Non ho risposte a simili domande; temo di non avere nemmeno le potenziali soluzioni al problema (se di "problema" si può parlare, perché la quantità dei "non-lettori" temo sia altissima, rispetto al passato, anche se non conosco statistiche e non so bene come si leggesse ai tempi di Dante o di Shakespeare, di Proust o di Thomas Mann). Sì so per esperienza (comprovata) che, una volta che uno si decide ad introdurre un classico al lettore attuale, ad inquadrare storicamente il contesto, a suggerire le molteplici letture che un classico consente, da quelle più "archeologiche" a quelle più "superficiali" e legate a trama e personaggi, a tematiche e spazi e tempi, ecco che il lettore attuale, lungi dallo spaventarsi, lungi dal rifiutare la lettura del testo, vi si avvicina con spirito intraprendente e voglia di scoperta. Come se, solo dopo una propedeutica contestualizzazione dei fatti, anche il lettore attuale trovasse il modo di avvicinarsi al testo del passato senza paura, senza remore, senza filtri, desideroso di andare avanti nella lettura, ansioso di vedere come va a finire.

Si tratta di un (difficilissimo) equilibrio tra ciò che si sa dell'opera e ciò che l'opera continua a dire, anche a distanza di secoli. E forse, solo allora, il lettore capirà che leggere i classici non è una perdita di tempo, né un modo strano di passare il tempo, né una stramberia da happy few, bensì un modo per conoscersi e per conoscere meglio ciò che siamo, ciò che siamo stati, ciò che non vogliamo, ciò che potremmo essere.

Lo scenario che ci offre il futuro non è dei più rosei. Ma finché ci sarà un lettore attento e disposto a prendersi cura del testo (se classico, ancora meglio), forse, ci sarà ancora speranza. Altrimenti, chissà se e come ci potremo adattare a un mondo senza classici o, addirittura, senza libri, un mondo senza cultura e senza domande, un mondo privo di spirito critico e di creatività. Apocalypse Now, certo, ma ancora no, ancora abbiamo scampo...(forse).

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