Il lungo addio
Chi è fan di vecchia data di Dylan Dog (come lo sono io), ricorderà senza dubbio che Il lungo addio è il titolo di una delle storie più belle mai scritte da Tiziano Sclavi per la serie bonelliana (si tratta, per l’esattezza, dell’albo n. 74). Risfogliandone alcune pagine (con sacrale attenzione; la rilegature è quasi andata, l’albo potrebbe sfaldarsi a ogni sospiro, l’ho davvero consumato), mi sono tornate in mente le tante volte durante le quali ho pianto, a leggere di questa romantica storia d’amore di un Dylan ancora giovane, ancora immaturo, e perciò pieno di quei dubbi che ci hanno travagliato l’anima quand’eravamo adolescenti pure noi. E a p.
…E lunghe ore a ingannarci così
a dire lui e lei, sempre gli altri
e i palliativi sono sempre tanti
per non ammettere che siamo qui
e Charlie Brown e Mafalda e la scuola
storie un po’ vere a volte inventate
nei pomeriggi d’inverno e d’estate
di strani voli su una parola
Quando cantavo Plaisir d’amour
tu mi guardavi e ridevi più forte
non lo capivi e la furba eri tu
e mi hai sospeso su un filo di lana
e mi ci terrai ancora per molto
giovane amore, fiore non colto
o forse sì; ma da un’altra mano
E chi lo sa se anche tu mi vuoi bene
a volte credo di esserne certo
a volte invece sembra tutto uno scherzo
fuggono gli occhi come falene
amica mia sorella speranza
quello che vuoi io non ti dirò
quello che voglio non sentirò
quello che c’è dietro l’indifferenza
E tutto è morto e tutto è ancor vivo
e solamente tutto è cambiato
quello che provo l’ho sempre provato
e credo ancora in ciò in cui credevo
e il fiocco nero è l’unica cosa
che mi è rimasta con la malinconia
ma insieme a questa stanca anarchia
vorrei anche te, amica mia
Ma dimmi tu non è meglio così?
Immaginare ed illudersi sempre
qui ad aspettare qualcosa o niente
qui ad aspettare un no o un sì
che in ogni caso sarebbero fine
di tutto questo che almeno è un ricordo
così studiato giorno per giorno
fatto di tanti cristalli di brina
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