martes, junio 29, 2010

Proust e la crudeltà


Più vado avanti nella lettura del maremagnum della Recherche (un mare immenso, sconfinato, intervallato, ogni tanto, da scogli improvvisi e pericolosi, da isole paradisiache, da acque putride, ristagnanti, in cui sembra di essere bloccati come nella bonaccia del Vecchio Marinaio dell'omonima ballata di Coleridge, di tramonti e albe estasianti, di ingorghi paurosi e pantani melmosi, etc. etc.) e più mi convinco del fatto che Proust sia uno scrittore "crudele", e anche crudo, perché non si censura; è uno dei pochi che va fino in fondo nel descriverci ciò che sente e che pensa; non conosce limiti di sorta (né morali né ideologici); non c'entra molto la morale, con Proust, il suo è un discorso che esula dalla "doxa" (dall'opinione comune) per sprofondare nell'io più intimo e sfuggente, e carpire da quell'io le verità più scomode e deprimenti. Forse un giorno studierò, al riguardo, i contatti tra il progetto di Proust e gli Essais di Montaigne (forse il primo saggista dell'era moderna; forse il primo romanziere moderno della modernità, ancor prima di Cervantes). Intanto, mi sottolineo e pongo note a margine su due frasi scelte a caso (su due temi tra tanti) che dimostrano quanto vado ipotizzando a proposito dell'esser crudeli (o crudelmente sinceri) come lo sono solo gli scrittori come Proust:
a) L'UOMO E LA CONOSCENZA DELL'ALTRO:
"I legami fra un essere e noi non esistono che nel nostro pensiero. L'affievolirsi della memoria li allenta, e a dispetto dell'illusione di cui vorremmo essere vittime e di cui, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, rendiamo vittime gli altri, è da soli che esistiamo. L'uomo è l'essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé; e, se dice il contrario, mente" (da Albertine scomparsa I, p. 43 dell'ed. Meridiani Mondadori, vol. IV - grassetti miei);
b) L'IDEA DELLA MORTE E QUELLA DEL MORIRE:
"L'idea che si morirà è più crudele del morire, ma meno dell'idea che un altro sia morto, che, nuovamente piatta dopo aver inghiottito un essere, senza nemmeno un risucchio a segnalarne il luogo, torni a distendersi una realtà da cui quell'essere è escluso, in cui non esiste più nessun volere, nessuna conoscenza, e da cui risalire all'idea che quell'essere è vissuto è tanto difficile quanto dal ricordo ancora recentissimo della sua vita al pensiero che esso sia assimilabile alle immagini senza consistenza, ai ricordi lasciatici dai personaggi d'un romanzo che abbiamo letto" (id., p. 112).
Brividi e vertigini...(e tra poco c'è Il tempo ritrovato).

2 comentarios:

  1. da Gabrilu
    (sono registrata su Google e Blogger ma è un tale casino accedere che preferisco presentarmi come anonima :-)


    Finalmente qualcuno che non si lascia irretire dagli sdilinquimenti e incantare dalla sirena Proust e comprende questo aspetto (fon-da-men-ta-le!) dell'opera di Proust.
    Ho letto attentamente il post, e condivido tutto.
    Solo mi permetterei di aggiungere, di mio --- ma in qualche modo lo dici anche tu, a me pare --- che la crudeltà di Proust è quella di chi non si ferma davanti a niente e a nessuno (nemmeno di fronte a se stesso) pur di ** conoscere**.

    E' una crudeltà .... come dire... "onesta".

    ... E poi c'è un altro aspetto che --- secondo me non a caso--- solo grandi critici americani hanno colto e valorizzato appieno: e cioè il grande umorismo di moltissime pagine della RTP.

    Chissà perchè i critici europei son sempre molto refrattari ad ammettere che Proust è anche moooooolto divertente.
    Lo vogliono vedere sempre in chiave languida, tragica, romantica, melensa... insomma tutto fuorchè --- orrore! --- divertente.

    Forse tutti questi illustri critici pensano che riconoscere l'umorismo di Proust (bravissimo a menare per il naso i suoi contemporanei e la stragrande maggioranza dei suoi posteri) equivalga per lui ad una diminutio capitis?
    Me lo sono chiesta spesso.
    Seguo sempre tutti i tuoi post.
    E --- se blogger mel consente --- provo pure ad interloquire.

    Ciao e grazie

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  2. Sembrerà strano o uno scherzo ma...anche stamattina pubblicherò un "post" in cui ti citerò esplicitamente chiedendoti lumi sul Nostro! E ti giuro che non è fatto apposta!
    Sono d'accordo con te sul fatto che si tratti di una "crudeltà onesta": è una qualità da "scrittore di razza" che non si riscontra tanto facilmente né negli altri scrittori classici né negli autori contemporanei (un po' più fifoni o ipocriti dei classici, a dire il vero e a mio modesto parere, tranne qualche rarissima eccezione).
    E sono d'accordo sul fatto che la "Recherche" è un libro che fa anche sorridere o, in alcuni brani, ridere: Proust varia molto il suo registro e il tono, alternando bene tra satira e umorismo. Interi personaggi sono descritti e presentati sotto la lente dell'ironia (a volte, ironia amara, come per Mr. de Charlus). Quando rivide i vecchi compagni della "mondanità" ne "Il tempo ritrovato", beh, lì è davvero bravo a farci piangere (gli effetti distruttivi del tempo su chi conoscevamo in passato) e a farci sorridere (gli strali satirici contro chi si ostina a nascondere le rughe o i capelli bianchi). E poi sì, c'è anche auto-ironia (del Marcel adulto ed esperto nei confronti del Marcel giovane e impacciato). Insomma, non conosco i critici americani cui fai riferimento, ma sono d'accordo con loro, Proust non è affatto sinonimo di "romantico, melenso, sdolcinato, languido", etc. etc.
    Grazi a te, Gabrilù! E a presto!
    Rendl

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