sábado, agosto 14, 2010

Juan Benet e il matrimonio (da Puerta de tierra, Barcelona, Seix Barral, 1970, pp. 74-75)

"In fatto di matrimonio - e sempre che si tratti di vincolo morale tra persone - accadono cose simili; per questo mi azzardo a generalizzare; quando tra i due coniugi uno di essi ricorre alla vigilanza sull'altro per sorvegliare il vincolo, male. Male per entrambi; questo spionaggio è la conseguenza della sfiducia e di un timore che la sorveglianza non farà altro che esacerbare fino al momento in cui la fibra più intima del vincolo si rompe. Un matrimonio si può mantenere se uno dei coniugi - o entrambi - accetta un certo grado d'infedeltà dell'altro e con la coscienza che una simile deviazione, rispetto al canone imposto dal vincolo, non comporti gravi lesioni alla sua fibra più intima. Esattamente all'opposto, se per un errore d'ottica - o di educazione, o per il peso di una massa di pregiudizi - quel coniuge si ritrae verso l'intolleranza e, ritenendo che un leggero tentennamento presupponga una lesione grave all'indole della sua unione, si decide a favore di una tattica di agguato, vigilanza e disciplina, il matrimonio allora è spacciato. Potrà perfino mantenere in vigore la scorza esterna e visibile del suo statuto, ma la fibra più intima del vincolo, quella decisione di ieri che li spinse ad unirsi e che giorno dopo giorno è necessario ratificare, sarà morta. Quella decisione si fondò, prima di ogni altra cosa, su una fiducia reciproca che, in ultima istanza, è l'unica cosa che bisognerebbe salvaguardare per conservare la vigenza del matrimonio; quando sfuma, esiste il divorzio, di fatto o di diritto. Mi hanno detto che esistono casi di divorzio anche quando non si rompe la fiducia tra i coniugi; ne riparleremo"

[from un capitolo che s'intitolerebbe - in italiano - "Epistola morale a Laura"]

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