miércoles, septiembre 15, 2010

Alain de Botton, Come Proust può cambiarvi la vita, Parma, Guanda, 2003

Adoro i libri che contengono immagini; vado pazzo, ultimamente, per i romanzi o i saggi che, allo scritto, alternano le figure (siano queste riproduzioni di quadri famosi, oppure foto, ritagli di giornale, fotocopie di copertine di altri libri, disegni, riproduzioni di fotogrammi di film, etc. etc.).

E' una passione che è nata leggendo W.G. Sebald (non esiste – quasi – libro di Sebald che non contenga immagini; basti pensare, ad esempio, al suo splendido Storia naturale della distruzione, o al “devastante” Austerlitz, o ai racconti che fanno parte della raccolta intitolata Vertigini, etc. etc.); passione che ho coltivato e riscoperto leggendo il collega e “pen-friend” di Sebald, lo spagnolo Javier Marías (che di immagini se ne intende; ha anticipato anche Sebald quando, nel lontano 1989, colpì non pochi lettori, introducendo nel suo Todas las almas la foto di un personaggio morto che sembrava fittizio ma era vissuto sul serio; e così via, poi, fino a Negra espalda del tiempo, per finire con il romanzo “proustiano” in tre puntate Tu rostro mañana...).

Le immagini le sapeva usare in modo molto umoristico (o ironico e satirico) anche un altro grande scrittore di racconti, l'argentino Julio Cortázar (basti prendersi la briga di andarsi a leggere – a guardare, sarebbe meglio dire – il suo delizioso Último round, raccolta di racconti, articoli e testimonianze varie dal tono assolutamente surrealista). Ma intervallato armonicamente da immagini è pure l'ultimo romanzo di Umberto Eco, ovvero: La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), sorta di rievocazione malinconia e di narrazione fiabesca dell'infanzia dell'autore...

Prima di Sebald, Marías, Cortázar o Eco (i nomi non sono scelti a caso: a tutti questi autori ho dedicato un articolo, a suo tempo, dal titolo spagnolo: “Visiones transverales: los documentos visuales en algunas novelas contemporáneas”), possiamo pensare anche agli “emblemi” di Alciato, nel cui Emblematum liber si dimostra, appunto, l'efficacia di spiegare certe verità morali o tratti umani unendo le immagini alle parole... E dopo di lui, come non citare il reverendo Sir Laurence Sterne, che con il suo The life and opinions of Tristram Shandy deve aver fatto impazzire il suo editore-stampatore; Sterne è un anarchico, in quanto al rispetto dell'ordine delle parole e/o delle immagini all'interno della pagina. E' lui che si è inventato, per primo, la pagina in bianco (che il lettore la riempia da solo con la sua immaginazione!) o la pagina “marmorizzata” (per imitare la tessitura di una lapide) o la pagina intervallata dagli schemi pre-strutturalisti sull'andamento della folle trama che il Narratore non riesce (o vorrebbe tanto riuscire) a portare a termine...

E così, oggi mi ritrovo ad andare in giro per librerie per cercare libri che contengano immagini (libri le cui immagini siano non tanto una sorta di “accompagnamento” al testo, ma “parti fondanti” il senso profondo del testo stesso).

Gli ultimi due acquisti sono stati questi: Antoni Mączak, Viaggi e viaggiatore nell'Europa moderna, Roma-Bari, Laterza, 1994 (in offerta fino al 17 Ottobre a 6,90 euro!) e il succitato Alain de Botton, Come Proust può cambiarvi la vita, un libro davvero divertente e che consiglio anche a chi non ha mai letto nulla di Proust...

Alain de Botton mi ricorda molto da vicino un altro scrittore che ama introdurre foto nei suoi pseudo-saggi (e questo qui di de Botton è sicuramente uno “psuedo-saggio”!), ossia: Geoff Dyer, l'autore del bellissimo L'infinito istante, una specie di “storia della fotografia” riscritta a partire dalla passione e dai gusti e dall'estro narrativo dell'autore.

Come Dyer, così de Botton ha il dono di parlarti di cose complicate in modo ameno e tono quasi scherzoso. Il suo libro trasuda ironia; di sicuro avrà fatto storcere il naso ai critici professionisti (o accademici) di Proust, proprio perché a lui non interessa affatto affrontare Proust (e la sua Recherche) come un classico da scandagliare, analizzare o psicoanalizzare a fondo.

A de Botton interessa raccontare e intrattenerci. E' con il suo racconto (e la sua capacità di intrattenere) che veniamo a scoprire dei tratti di Proust che, in un primo tempo, non avremmo mai notato.

Scopriamo, così, che il padre di Proust era un medico famoso e molto apprezzato per i suoi saggi su “come stare meglio” (saggi sull'igiene domestica, come si chiamava all'epoca); che Proust era un terribile ipocondriaco, nonostante avesse il medico in famiglia; che per Proust gli amici erano fondamentali, anche se aveva un concetto molto particolare dell'amicizia e ne soffrisse parecchio, anche se in silenzio... Ed è proprio nel capitolo VI (dedicato al “Come essere un buon amico”) che trovo una delle definizioni migliori della Recherche (checché ne dicano gli specialisti):

Uno dei modi possibili di vedere la Recherche è considerarla una lettera mai spedita e incredibilmente lunga, l'antidoto a una vita di proustificazione, la seconda faccia di Atena, dei regali sontuosi e dei crisantemi dal gambo lungo, il posto dove finalmente poter dire l'indicibile” (id., p. 131).

Ecco: la Recherche è davvero il POSTO IN CUI PROUST HA AVUTO IL CORAGGIO DI DIRE L'INDICIBILE...

E con ciò mi riaggancio a una riflessione che feci tempo fa (e di cui parlai per email anche con l'autrice del blog "Non solo Proust"), quando ero ancora immerso nella lettura del “mostro”: Proust, a dispetto dell'immagine che è passata attraverso la leggenda urbana e i pareri della critica, non è affatto uno scrittore romantico, o sdolcinato, o sdilinquito...tutt'altro! E' uno scrittore crudele, dotato di una tale lungimiranza, di una tale capacità di penetrare nello schifo dell'animo umano da esser riuscito a dire delle cose che sono vere e valide ancora oggi...cose di cui sia lui che noi potremmo ancora oggi vergognarci...e che però stanno lì, nascoste o appartate o assopite, dentro il “nostro Io” più profondo.

Anche solo per questa riflessione, dovremmo essere grati a quel simpaticone di Alain de Botton (a giudicare dagli altri suoi titoli, sembra l'autore di una serie di guide per la sopravvivenza; ecco i titoli: Esercizi d'amore – Il piacere di soffrire – Cos'è una ragazza...ah, bellissimo questo! Cos'è una ragazza!!!).

Chiuderei con un'altra citazione che ci fa capire come Proust, scrivendo quello che ha scritto, sia riuscito a inventarsi un lettore che sa “guardare a fondo” o “oltre le apparenze”:

Uno dei benefici effetti derivanti dal leggere un'opera che coglie i fremiti più impercettibili dei personaggi è che, una volta messo giù il libro e ripresa la nostra vita, possiamo occuparci esattamente delle stesse cose verso cui l'autore si sarebbe mostrato sensibile, se lui o lei fosse stato in nostra compagnia. La nostra mente si trasforma in un radar messo a punto di fresco per cogliere i più piccoli oggetti galleggianti sulla coscienza: sarebbe come portare una ricetrasmittente in una stanza che credevamo silenziosa e renderci conto che il silenzio esisteva solo entro i limiti di una frequenza e che sin dal principio, in realtà, la stanza era invasa dalle onde sonore provenienti da una stazione ucraina o dalle chiacchiere notturne di una compagnia di taxi” (id., p. 33 - sottolineature mie)

Proust riesce a metterci in testa quel radar...e solo pochi scrittori sanno fare una cosa del genere...

2 comentarios:

  1. Alain de Botton?!
    Ma no, dai.
    Prenderai mica sul serio un furbacchione come Alain de Botton ?!?!

    gabrilu
    (cui Blogger si ostina a sbatter la porta in faccia nonostante la summenzionata gabrilu sia regolarmente registrata e implacabilmente schedata)

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  2. Ah ah ah!!! Mi hai fatto ridere, Gabrilù! Ma com'è che Blogger ce l'ha così tanto con te? Comunque, sono d'accordo riguardo al de Botton; si capisce dagli altri suoi titoli che è furbacchione; però mi sta simpatico il suo modo di scrivere...leggero, intimista, a volte anche troppo...etereo! Un abbraccio forte!

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