viernes, marzo 16, 2012


Tempus ruit (pare ancora...)



E' da quasi un mese che non aggiorno questo blog; mi viene in mente la frase di Cervantes, quando, anticipando le probabili critiche o le domande dei curiosi lettori e per giustificare in qualche modo la lunga pausa intercorsa tra la stesura de La Galatea (1585) e quella della "Primera Parte" del suo Don Quijote (1605) scrisse: "Ho avuto altri affari da sbrigare" o "Sono stato occupato in altre questioni"...

Ho letto anche poco, ultimamente. E non ho libri nuovi da recensire (sì, ne ho comprati, come L'incantatore di Vladimir Nabokov, grazie alla suggestiva recensione di Gabrilù sul suo blog "NonsoloProust"; e Nanà, di Zola, su consiglio affettuoso della mia cara amica Danny - anche lei gli ha dedicato una recensione; devo ancora leggerla). Ma, appunto, ho avuto poco tempo per vivere attraverso le pagine di un buon libro (e la cosa mi manca, lo ammetto).

In compenso, ho vissuto parecchio, a ritmi sinceramente accelerati.

Ho mangiato un hambuger al McDonald in compagnia di una mia vecchia alunna di scuola, incontrata per caso alla Stazione Termini, e non ho resistito alla tentazione di aiutarla col bagaglio (un'enorme e pesantissima valigiona a fiori in perfetto stile Woodstock), come fossi un cavaliere errante d'altri tempi o come fossi il suo maggiordomo in giacca e cravatta (o, più semplicemente, come fossi suo padre); ho passeggiato sul Lungarno di Pisa insieme alla mia ex, rimembrando i bei tempi andati e sviscerando al chiar di luna le cagioni principali che hanno fatto sì che il nostro rapporto finisse in un baratro per non riprendere mai più quota (eravamo caduti in basso e nessuno dei due ha avuto mai la forza necessaria per tornare a viaggiare a quote più normali; le ho fatto notare la targa in cui si dice che Leopardi preferiva il Lungarno pisano a quello fiorentino; lei ha sorriso e poi mi ha  abbracciato stretto stretto); ho assaggiato dell'ottimo Chianti a Firenze, nei pressi di Santa Croce, la mia piazza preferita (con Dante che domina e osserva tutti), in compagnia di una collega che insegna Letteratura Inglese all'Università di Potenza. E ho sentito citare un mio articolo alla presentazione delle mie prime due traduzioni (dallo spagnolo all'italiano) nella magnifica Biblioteca Universitaria della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Pisa, quando meno me l'aspettavo (a citarmi, un prof. dell'Università di Milano, incredibile a dirsi...). E ho commentato una volta una simpaticissima riflessione di "V." (for "Vagina") nel suo blog assai divertente "memoriediunavagina", in merito al tema: "come resistere all'assenza degli ex", o meglio: "come un film può ricordarti immediatamente che il tuo ex non c'è più" (e la malinconia è dietro l'angolo; ti guarda sorniona; sorride infingarda; è pronta ad afferrarti per il collo e a non lasciarti più andare via). 

E poi mi sono ritrovato a parlare di mestruazioni con una amica giornalista (molto battagliera, un cervello sopraffino) davanti a un ottimo piatto di ravioli al ragù in un piccolo ristorantino in stile "toscano" ad Avellino, ridente cittadina dell'entroterra campano, in cui, a quanto mi dicono, c'è un'altissima percentuale di giovani che si tolgono la vita (il suicidio come unica salvezza agli inverni rigidi ed infiniti di quella città; o sarebbe meglio dire: alla mancanza di prospettive lavorative certe o a sbocchi occupazionali anche precari). 

E ho preparato l'aperitivo a B., una mia cara amica attrice che studia Lettere a Napoli e sogna di vivere recitando al Piccolo o alla Scala (sogniamo in grande, noi, mica pizza e fichi). E l'ho perfino ascoltata recitare pezzi tratti da La signora delle camelie o da Questa sera si recita a soggetto (poi abbiamo stemperato l'atmosfera cantando a squarciagola "Amore disperato" di Nada - i magnifici anni 80). E ho perfino ballato con B., un pezzo di Lou Reed, di quando ancora cantava coi Velvet Underground (solo che non ricordo più come s'intitolava quel pezzo, magnifico per smaltire una sbronza, o distendersi sul divano a contemplare il soffitto, con una sigaretta accesa in bocca o sospesa tra indice e medio). E ho visto un film di Wim Wenders, del 1977 (l'anno in cui ho visto la luce), con uno stranissimo Dennis Hopper (doppiato malissimo in italiano) e con un giovanissimo Bruno Ganz (stranamente somigliante a Valerio Mastrandrea, in quel film)...come s'intitolava? Ah, sì, L'amico americano (o Der Amerikanische Freund, nel titolo originale), un film ispirato allo stesso romanzo che poi ispirerà pure Il talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella e Il gioco di Ripley di Liliana Cavani - entrambi ancora da vedere). E lo vedevo seduto in uno striminzito stanzino di un piccolissimo pub di Salerno in compagnia di una critica d'arte contemporanea che sembrava mia nonna per il suo modo di non capire i film e il suo continuo chiedermi: "Ma lui chi è? Da dove esce fuori?" o "Ma lui è il marito di lei?" o "Ma ora perché lui muore?" o "Ma come mai ammazzano pure il controllore?" (indimenticabile quella scena "keatoniana" sul treno; una strage infinita compiuta da due pupazzi che non sanno nemmeno come tenere in mano la pistola)... 

E ho fatto lezione a un centinaio di studenti che non sanno che le mie occhiaie nascono da insonnia e che, molto probabilmente, ancora non sanno cosa significa soffrire d'insonnia... E ho visto, come al solito, il tempo scorrere...fuggire via...senza fare mai ritorno. E come dicevano gli antichi: "Tempus ruit" (ancora pare)...indefinitamente...

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