Strange days
Sono giorni strani, questi giorni miei... Di malinconia per i
terremotati del Nord (con - nel ricordo - le immagini ancora vive e vivide dell'Aquila –
il mio paese sui monti abruzzesi dista appena 40 km da AQ) e di nostalgia per
la donna amata che si è rifatta una vita e che ha ancora la pazienza di
sopportare le mie email in perfetto stile "Ti ricordi quella volta
che...?", di incontri inaspettati e, soprattutto, di re-incontri strambi
con persone che credevo di aver perso per sempre.
Mentre ascolto la bellissima canzone di Lisa Hannigan What I'll do (consiglio di mia sorella), ripenso alla panchina sotto casa, una panchina spuntata quasi per caso e che ha ci ha colti tutti di sorpresa, nessuno dei miei coinquilini (e delle persone che abitano nel palazzo di fronte) si aspettava una simile novità: una panchina, di legno scuro, con i piedi di metallo manierati e ben piantati nell'asfalto... Ma come mai? A che serve una panchina in mezzo al marciapiede con vista (panoramica?) sui bidoni dell'immondizia? Per riposarsi dopo aver gettato le buste? Per inalare il cattivo odore? Per chiedere l'elemosina ai passanti? Qual è la funzione di una simile panchina in un posto come questo?
E poi passa una settimana e uno torna dall'Università, stanco
morto, e scopre (con sorpresa raddoppiata, rispetto alla prima volta) che la
panchina non c'è più, l'hanno sradicata, si vedono ancora le orme dei piedi di
metallo tolti dal cemento e dall'asfalto del marciapiedi, e pensa: una panchina
ballerina, Giuda ballerino!
Strani giorni davvero, questi, quando ci si ritrova a pranzare a
mensa con Nadine, collega tedesca che insegna Letteratura Tedesca, bionda e
occhi azzurri (come vuole il canone nordico), bella e simpatica, capace di
sprazzi di allegria e di cupa depressione, di risate e di pianti, come una
specie di montagna russa umana dei sentimenti...
Parliamo di tutto, a pranzo, io e Nadine, da Goethe a Thomas Mann,
da Thomas Bernhard (uno dei nostri autori preferiti) a W. G. Sebald (uno dei
nostri autori preferiti), per finire con il porno e il significato della
pornografia nell'era di internet.
E' un argomento che ci prende e ci appassiona entrambi (senza
arrossire, nessuno dei due - pensa a cosa vuol dire per un ragazzino di oggi,
per un adolescente, nascere ai tempi di You Porn) e la gente ci osserva, ci
vede che ci infervoriamo, fino a quando non racconto a Nadine la fantastica
"parabola" di Annette Schwartz, sua conterranea e
connazionale, una biondina tutta sale e pepe che ha cominciato a 18 anni,
dopo essere stata infermiera in un ospedale di non ricordo più quale piccola
cittadina tedesca, e ha scoperto le delizie del sesso estremo e si è data (in
modo estremo) fino ad arrivare a girare film con i maggiori attori e registi di
tutto il mondo, un sogno coronato a suon di orgasmi, una matta vera questa
Anette Schwartz, una che ci ha messo l’impegno giusto per raggiungere la vetta
e realizzare il suo sogno…
Nadine ride: “Vedo che sei un vero esperto; mi hai messo
curiosità, stasera faccio una ricerchina”. E io: “Sì, ma lontano da sguardi
indiscreti, mi raccomando, e non dirlo a tuo marito”. E Nadine: “Ma io non sono
sposata, non vedi che non ho la fede al dito?” (e sembra quasi un invito,
dovremmo vederci più spesso, io e te, sai?).
Oppure il fattaccio legato alla dichiarazione dei redditi; rincaso
tardi la notte (sono le 2 circa), dopo una serata passata in uno dei pub più
snobbamente letterari ed intellettuali della città e ritrovo – nella cassetta
della posta – una bella letterina dell’Agenzia delle Entrate, mio Dio, Dio mio,
cos’ho fatto? Perché? Forse che ho sbagliato? Mi arrestano? Avrò diritto ad un avvocato? Io tremo, alla
sola idea di aprire la lettera, e così, il giorno dopo scopro che si tratta di
un semplice avviso, una comunicazione al cittadino e comunque la cosa mi turba
e mi sfogo telefonicamente con mia madre, mamma, lo sai, tu lo sai bene, io le
tasse le ho sempre pagate, fino all’ultimo centesimo, ho avuto una paura, e mia
madre: ma l’hai fatta la dichiarazione dei redditi? E io: quando si doveva
fare? E lei: mi pare entro fine Maggio; e io: mamma, siamo al 30 Maggio!!! E
lei: informati, che aspetti!!! E io: e se sono in ritardo, non è che mi
arrestano? E lei: ma quanto sei esagerato!!! Domani, piuttosto, svegliati
presto e vatti a informare dai sindacati, vai al CAF. E io: io mi sveglio
sempre presto!!! E’ che ora sono preoccupato, come faccio? E così mi torna in
mente Carla, la mia amica commercialista, quella che l’anno scorso mi ha fatto
il 740 e la chiamo, seduta stante, per sapere che ne sarà della mia vita…
Carla, come stai? Mi togli un dubbio? Ti prego! Scusami se ti disturbo a
quest’ora, ma io devo sapere! E Carla: ma, scusa, cosa devi sapere? E io: entro
quando va consegnato il modello del 740! E lei: ma noi l’anno scorso non
abbiamo fatto mica il modello del 740, noi abbiamo fatto il modello UNICO e
comunque, stai calmo, c’è tempo, si parte da metà Giugno, non devi
preoccuparti. E io: grazie, Carla, non so cosa sia l’UNICO, ma ti ringrazio,
sei un tesoro, mi salvi! E lei: ma quanto sei esagerato!!!
Giorni strani, fatti di corse al parco con le cuffiette nelle
orecchie, musica utile a tenere il passo, ritmo accelerato e poi cadenzato,
andiamo a fasi alterne, che nun ci sa più l’età per fare certe cose…
Giorni di attese vane, di persone che tornano dal passato, di
amiche che chiedono consigli (quando io sono l’ultimo uomo sulla Terra a
poterne dare), di amici che piangono per l’ex che li ha mollati sul più bello,
proprio quando loro si stavano facendo una ragione del matrimonio, gente che
passa nella tua vita per lasciarti una confidenza intima (devo avere proprio la
faccia del bravo ragazzo o di quello bravo ad ascoltare se tutti si sentono in
diritto/dovere di usarmi come loro confessore, la gente parla e parla e
confessa anche le proprie paure più nascoste e le proprie speranze più vive, e
io ascolto e ascolto e non so mai che dire, alla fin fine…).
Poi leggo questa poesia, bellissima, pura e sintetica, di Julio
Cortázar (cito solo gli ultimi versi):
Los amantes rendidos se miran y
se tocan
Una vez más antes de oler el
día.
Ya están vestidos, ya se van
por la calle.
Y es sólo entonces, cuando
están vestidos,
que la ciudad los recupera
hipócrita
y les impone los deberes cotidianos.
Che in italiano potremmo
rendere più o meno così:
Gli amanti arresi si guardano e
si toccano
Ancora una volta prima di
annusare il giorno.
Sono già vestiti, camminano già
per strada.
Ed è solo allora, quando sono
vestiti,
che la città li recupera
ipocrita
e impone loro i doveri
quotidiani.
Strange days, those days…
IN EFFETTI NON HAI LA FACCIA DA "BRAVO RAGAZZO", MA SICURAMENTE HAI LA FACCIA E LA TESTA DI CHI SA ASCOLTARE
ResponderEliminarCome? Non ho la faccia da "bravo ragazzo"??? Ahah! Grazie, Si, e sai pure che a te t'ascolto volentieri e sono sempre tutto orecchi! Un abraccio forte
ResponderEliminarA proposito, dopo un anno, ho scritto una "cosa" sul mio blog.
ResponderEliminarLetto e apprezzato! Scrivi più spesso; scrivi di più; non titubare, Si!
ResponderEliminarImmagino che siano questi giorni strani quelli di cui ci ricorderemo tra dieci, venti, quarant'anni. Quindi goditeli (godiamoceli) fine che ci sono.
ResponderEliminarE' un piacere averti letto.
FrouSvedese
Il piacere è tutto mio, FrouSvedese! Passa quando vuoi; io quando voglio farmi qualche risata passo da te, ok?
ResponderEliminarE salutami la Svezia!