Fuoco nemico
Tempo fa scrissi una
recensione a un saggio di critica letteraria che, a mio modesto parere, non
manteneva quanto prometteva sin dal titolo; troppo ambizioso, troppo vasto il
campo d’indagine, troppo limitato il punto di vista dell’autrice. E più d’una
collega mi disse di smussare i toni, di non essere così spocchioso, di non fare
troppo il gradasso, perché io non ero nessuno per crocifiggere una docente
esperta, una persona degna, un’americana che lavora in Germania (o una tedesca
che lavora negli USA, ora non ricordo più bene) che non mi aveva fatto nulla di
male e che non si meritava i miei strali…
Ci pensai su solo dopo che la recensione venne pubblicata presso una rivista specializzata che leggeranno, sì e no, i cinque o sei abbonati che amano trastullarsi con questioni non poi così tanto trascendentali. E mi dissi che era vero, che le mie colleghe avevano ragione, che nemmeno il tuo più acerrimo nemico si merita una stroncatura del genere, e un po’ mi pentii di aver agito in quel modo, ma ormai era fatta, la recensione è lì, stampata, la possono leggere tutti (quelli che si prendessero la briga di cercarla).
Tempo dopo narrai su
questo diario di bordo le vicissitudini di una scrittrice d’origini spagnole (o
meglio, italo-argentine) che avrebbe voluto provare a pubblicare il suo primo
romanzo in Italia; quella volta mi prodigai per cercarle tutti gli indirizzi
ufficiali e affidabili di quasi tutte le case editrici più importanti d’Italia
(non tralasciando, a dirla tutta, nemmeno quelli delle case editrici più
piccole o quasi minuscole).
Ora tocca a me: un mio
libro, un saggio pesante che potrebbe funzionare perfettamente come sonnifero
ad effetto istantaneo, è stato bloccato per il parere negativo di un “revisore
anonimo” che, a quanto pare, si è preso una bella rivincita nei miei confronti
perché, a quanto pare, ripeto, non l’ho citato abbastanza e, quindi, non vede
come io possa proporre all’attezione del pubblico spagnolo un testo in cui i
riferimenti ai suoi dotti saggi non siano assidui, fondati e sensati. Dovevo
dialogare di più con i suoi saggi, non l’ho fatto, il verdetto è la bocciatura
assoluta. Senza se e senza ma.
Questo stesso libro
(un mattone di quasi 400 pagine) è stato elogiato da un altro revisore,
anch’egli “anonimo” ed esperto nel mio campo di studi, che, a quanto pare e a
quanto si sente dire nei corridoi, ha apprezzato moltissimo i miei sforzi
ermeneutici e crede che il saggio meriti assolutamente di apparire in lingua
spagnola e presso un importante editore spagnolo, affinché anche gli esperti
dell’area ispanofila e ispanica possano apprezzare i frutti che sono riuscito a
cogliere dopo anni di ricerche dotte e approfondite.
In realtà, come è
evidente anche a un lettore non coinvolto direttamente nei fatti, a me questo
duplice esito assurdamente speculare non dovrebbe preoccuparmi più di tanto: o
almeno, non tanto da farmi venire gli incubi o da togliermi il sonno. E’ sempre
stato così, da che mondo è mondo: non possiamo pretendere di piacere a tutti;
non possiamo assolutamente credere che i nostri sforzi debbano essere
riconosciuti da tutti allo stesso modo e negli stessi termini. Che un libro
veda o meno la luce non importa poi molto, se, per dire, lo compariamo alla
nascita o meno di un bambino (anche quando l’autore del libro sente di averlo
“partorito” come fosse un suo piccolo, fragile, piangente “figliolo”). Che un
libro finisca in stampa o nel secchio della spazzatura o del tritacarte è
questione all’ordine del giorni di tutti i giorni che Dio comanda su questa
Terra (penso ad Antonio Moresco, ad esempio, e ai suoi 50 o 60 o forse 70 rifiuti
accumulati in quasi 20 anni di sforzi e di tentativi; oggi è Antonio Moresco, i
suoi romanzi cominciano a tradurli in francese, in tedesco, in spagnolo e in
inglese e qualche prof. coraggioso comincia a organizzare corsi sulla sua opera
all’Università e qualche collega illustre è arrivato a dire di lui che è un
“classico contemporaneo”, e roba del genere). No, quello che è sorprendente o
che lascia un po’ l’amaro in bocca è constatare che, in questo mondo, il fuoco
nemico è sempre attivo e all’erta, c’è sempre qualcuno che si ricorderà di te
per stroncarti, ostacolarti o criticarti, magari perché tu, in una tua
precedente recensione, hai stronato, ostacolato o criticato una sua amica; non
c’è bandiera bianca che valga, quando qualcuno che occupa un incarico superiore
al tuo si ricorda di quando tu ti sei azzardato a dire male di qualche suo
collega amico.
E allora uno si rende
conto del fatto che: a) non si gioca mai ad armi pari (il più potente ha un
maggiore peso militare e, quindi, una maggiore capacità di abbattere colui che
considera come suo nemico); b) si gioca sempre come se fossimo all’interno di
una guerra costante, infinita, fatta di opinioni, recensioni, pareri, critiche,
in definitiva, parole che commentano parole altrui allo scopo di dire la
propria versione dei fatti e di captare quella che all’emissore di tali parole
dovrebbe essere la verità.
Ma le versioni dei
fatti sono inevitabilmente soggettive e la verità, semplicemente, è troppo
complessa per essere definita una volta per tutte. Un libro può essere
considerato, allo stesso tempo, contemporaneamente, una robaccia con cui
accendere un falò o un testo d’importanza capitale per l’Umanità. E non solo:
anche noi siamo relativi, nel senso che il nostro parere, o giudizio, o critica
può cambiare da un mese all’altro, da un momento all’altro, a seconda dello
stato d’animo, a seconda dell’autore che abbiamo di fronte, a seconda delle
relazioni che pensiamo di avere con quel determinato autore (se è amico di un
mio amico, beh, allora è anche amico mio e non potrò mai parlarne male).
E così va il mondo,
non solo quello letterario, o editoriale, o accademico; così va il mondo un po’
in tutti i campi dello scibile umano e dei lavori umani (di sicuro c’è il
muratore che criticherà l’operato di un collega più giovane o più anziano; sono
certo che esistono gli idraulici che bestemmieranno vedendo i rattoppi di altri
colleghi meno professionali). E quindi, alla fine dei conti, che il mio libro
sia piaciuto o che sia stato stroncato non ha, in realtà, importanza alcuna,
soprattutto se, un po’ filosoficamente, ci mettiamo a pensare al fatto che noi
stessi siamo frutto del caso; non era scritto da nessuna parte che dovessimo
nascere in quel giorno, in quella città, da quella coppia di genitori. E il
fatto che alla fine lo spermatozoo di nostro padre sia riuscito a fecondare
l’ovulo di nostra madre dovrebbe renderci immuni agli attacchi o alle critiche
degli altri, anch’essi frutto di casi fortuiti, di incroci strambi e casuali,
di sviste o incidenti di percorso.
E poi, diciamocela tutta: in questo mondo ci sono fin troppi libri; uno più o uno meno, non fa tanto la differenza. E che accada quel che deve accadere. “As you like it”, sarà la mia shakespeariana risposta alla domanda: e se poi davvero non te lo pubblicano?
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