viernes, febrero 19, 2016

 Fuoco nemico



Tempo fa scrissi una recensione a un saggio di critica letteraria che, a mio modesto parere, non manteneva quanto prometteva sin dal titolo; troppo ambizioso, troppo vasto il campo d’indagine, troppo limitato il punto di vista dell’autrice. E più d’una collega mi disse di smussare i toni, di non essere così spocchioso, di non fare troppo il gradasso, perché io non ero nessuno per crocifiggere una docente esperta, una persona degna, un’americana che lavora in Germania (o una tedesca che lavora negli USA, ora non ricordo più bene) che non mi aveva fatto nulla di male e che non si meritava i miei strali…

Ci pensai su solo dopo che la recensione venne pubblicata presso una rivista specializzata che leggeranno, sì e no, i cinque o sei abbonati che amano trastullarsi con questioni non poi così tanto trascendentali. E mi dissi che era vero, che le mie colleghe avevano ragione, che nemmeno il tuo più acerrimo nemico si merita una stroncatura del genere, e un po’ mi pentii di aver agito in quel modo, ma ormai era fatta, la recensione è lì, stampata, la possono leggere tutti (quelli che si prendessero la briga di cercarla).

Tempo dopo narrai su questo diario di bordo le vicissitudini di una scrittrice d’origini spagnole (o meglio, italo-argentine) che avrebbe voluto provare a pubblicare il suo primo romanzo in Italia; quella volta mi prodigai per cercarle tutti gli indirizzi ufficiali e affidabili di quasi tutte le case editrici più importanti d’Italia (non tralasciando, a dirla tutta, nemmeno quelli delle case editrici più piccole o quasi minuscole).

Ora tocca a me: un mio libro, un saggio pesante che potrebbe funzionare perfettamente come sonnifero ad effetto istantaneo, è stato bloccato per il parere negativo di un “revisore anonimo” che, a quanto pare, si è preso una bella rivincita nei miei confronti perché, a quanto pare, ripeto, non l’ho citato abbastanza e, quindi, non vede come io possa proporre all’attezione del pubblico spagnolo un testo in cui i riferimenti ai suoi dotti saggi non siano assidui, fondati e sensati. Dovevo dialogare di più con i suoi saggi, non l’ho fatto, il verdetto è la bocciatura assoluta. Senza se e senza ma.

Questo stesso libro (un mattone di quasi 400 pagine) è stato elogiato da un altro revisore, anch’egli “anonimo” ed esperto nel mio campo di studi, che, a quanto pare e a quanto si sente dire nei corridoi, ha apprezzato moltissimo i miei sforzi ermeneutici e crede che il saggio meriti assolutamente di apparire in lingua spagnola e presso un importante editore spagnolo, affinché anche gli esperti dell’area ispanofila e ispanica possano apprezzare i frutti che sono riuscito a cogliere dopo anni di ricerche dotte e approfondite.

In realtà, come è evidente anche a un lettore non coinvolto direttamente nei fatti, a me questo duplice esito assurdamente speculare non dovrebbe preoccuparmi più di tanto: o almeno, non tanto da farmi venire gli incubi o da togliermi il sonno. E’ sempre stato così, da che mondo è mondo: non possiamo pretendere di piacere a tutti; non possiamo assolutamente credere che i nostri sforzi debbano essere riconosciuti da tutti allo stesso modo e negli stessi termini. Che un libro veda o meno la luce non importa poi molto, se, per dire, lo compariamo alla nascita o meno di un bambino (anche quando l’autore del libro sente di averlo “partorito” come fosse un suo piccolo, fragile, piangente “figliolo”). Che un libro finisca in stampa o nel secchio della spazzatura o del tritacarte è questione all’ordine del giorni di tutti i giorni che Dio comanda su questa Terra (penso ad Antonio Moresco, ad esempio, e ai suoi 50 o 60 o forse 70 rifiuti accumulati in quasi 20 anni di sforzi e di tentativi; oggi è Antonio Moresco, i suoi romanzi cominciano a tradurli in francese, in tedesco, in spagnolo e in inglese e qualche prof. coraggioso comincia a organizzare corsi sulla sua opera all’Università e qualche collega illustre è arrivato a dire di lui che è un “classico contemporaneo”, e roba del genere). No, quello che è sorprendente o che lascia un po’ l’amaro in bocca è constatare che, in questo mondo, il fuoco nemico è sempre attivo e all’erta, c’è sempre qualcuno che si ricorderà di te per stroncarti, ostacolarti o criticarti, magari perché tu, in una tua precedente recensione, hai stronato, ostacolato o criticato una sua amica; non c’è bandiera bianca che valga, quando qualcuno che occupa un incarico superiore al tuo si ricorda di quando tu ti sei azzardato a dire male di qualche suo collega amico.

E allora uno si rende conto del fatto che: a) non si gioca mai ad armi pari (il più potente ha un maggiore peso militare e, quindi, una maggiore capacità di abbattere colui che considera come suo nemico); b) si gioca sempre come se fossimo all’interno di una guerra costante, infinita, fatta di opinioni, recensioni, pareri, critiche, in definitiva, parole che commentano parole altrui allo scopo di dire la propria versione dei fatti e di captare quella che all’emissore di tali parole dovrebbe essere la verità.

Ma le versioni dei fatti sono inevitabilmente soggettive e la verità, semplicemente, è troppo complessa per essere definita una volta per tutte. Un libro può essere considerato, allo stesso tempo, contemporaneamente, una robaccia con cui accendere un falò o un testo d’importanza capitale per l’Umanità. E non solo: anche noi siamo relativi, nel senso che il nostro parere, o giudizio, o critica può cambiare da un mese all’altro, da un momento all’altro, a seconda dello stato d’animo, a seconda dell’autore che abbiamo di fronte, a seconda delle relazioni che pensiamo di avere con quel determinato autore (se è amico di un mio amico, beh, allora è anche amico mio e non potrò mai parlarne male).

E così va il mondo, non solo quello letterario, o editoriale, o accademico; così va il mondo un po’ in tutti i campi dello scibile umano e dei lavori umani (di sicuro c’è il muratore che criticherà l’operato di un collega più giovane o più anziano; sono certo che esistono gli idraulici che bestemmieranno vedendo i rattoppi di altri colleghi meno professionali). E quindi, alla fine dei conti, che il mio libro sia piaciuto o che sia stato stroncato non ha, in realtà, importanza alcuna, soprattutto se, un po’ filosoficamente, ci mettiamo a pensare al fatto che noi stessi siamo frutto del caso; non era scritto da nessuna parte che dovessimo nascere in quel giorno, in quella città, da quella coppia di genitori. E il fatto che alla fine lo spermatozoo di nostro padre sia riuscito a fecondare l’ovulo di nostra madre dovrebbe renderci immuni agli attacchi o alle critiche degli altri, anch’essi frutto di casi fortuiti, di incroci strambi e casuali, di sviste o incidenti di percorso.


E poi, diciamocela tutta: in questo mondo ci sono fin troppi libri; uno più o uno meno, non fa tanto la differenza. E che accada quel che deve accadere. “As you like it”, sarà la mia shakespeariana risposta alla domanda: e se poi davvero non te lo pubblicano?

No hay comentarios:

Publicar un comentario

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...