jueves, julio 06, 2006
Ci sono certe scene che restano impresse nella mente, per non sappiamo mai quale oscuro motivo (la nostra labile, permeabilissima psiche essendo ancora un mistero, checchè ne dicano gli esperti psicologi, psicanalisti, psicoterapeuti, psico-ecc.). Per esempio, quella in cui Nicholas Cage s'imbatte, in compagnia della biondissima (e sciroccata) Laura Dern, in un'auto appena incidentata. Ci sono delle vittime, il parabrezza è distrutto, i vetri si mescolano al sangue dei passeggeri, sembra essersi salvata solo una ragazza che - se la memoria non m'inganna - sbuca da dietro un cactus gigante e chiede: "Dov'è la mia borsa? Dov'è andata a finire? Devo trovare la mia borsa, se non la trovo mia madre mi uccide", con gli occhi spiritati e toccandosi la ferita sulla testa. Nicholas Cage consiglia a Laura Dern di allontanarsi da lì, che ci sono morti e che tra poco morirà anche la ragazza (trauma cranico?). Laura Dern la contempla orripilata e allibita, non sa se urlare o piangere, mentre la ragazza continua a disperarsi perchè non trova la benedetta borsetta, finchè non si accascia a terra e spira, in mezzo al sangue e alla polvere del deserto (una scena in perfetto stile David Lynch, un mix spaventoso di orrore e humor nero - Wild at Heart, il titolo del film, mi pare sia del 90 o 91 - è stato tradotto in italiano con Cuore selvaggio, non una traduzione letterale, ovviamente).
Oppure la scena in cui il crociato Antonius Blok, stanco da tanto viaggiare e tanto combattere per difendere (con la spada) la parola di Cristo, si siede su un prato, accanto alla carrozza di una famiglia di saltimbanchi e giullari (madre bionda e molto bella, padre buffone e bambino piccolo e cicciottello). Lo spettatore sa che Blok sta giocando una partita a scacchi con la Morte. E che, probabilmente, è condannato alla sconfitta (la Morte è infigarda e anticipa ogni sua mossa sulla scacchiera - le pedine saranno vite umane da tagliare con la proverbiale falce). Eppure, in quel momento, al tramonto, Blok si rilassa, e afferra la ciotola di latte che gli porge la moglie del giullare e osserva il sole e si lascia carezzare dal venticello del crepuscolo e mangia fragole appena colte e dice parole che non ricordo, ma che lasciano trasparire tutta la sua malinconia per un mondo che sì, sarà pure brutto, e pieno di peste, malattie e morte, ma quant'è bello quando è tutto così calmo e raccolto, basta così poco, un po' di latte, un'allegra compagnia, un po' di fragole (poesia pura, da uno dei film più famosi di Ingmar Bergman, Il Settimo Sigillo, il titolo del film del 56 o 57 o 54, bah, non ricordo).
Oppure la scena in cui Woody Allen, sullo sfondo di New York (in fondo i grattacieli di Manhattan, più in evidenza il ponte di Brooklin), abbraccia Mia Farrow e le dice che no, che non la ama soltanto, la strama, la ama al quadrato, la strapazza, la bacia e la stringe forte a sè e la ribacia e Mia Farrow gli dice: "Ma sei sicuro? Davvero?", per poi aggiungere: "Tu sei tutto matto", e Woody Allen si scioglie tra le braccia di quella donna fantastica (così interessante, così intrigante e bella e insicura - se non erro, tartaglia e balbetta, proprio come il personaggio cronicamente insicuro che interpreta il regista-scrittore-attore-autore più ironico e pessimista del mondo)...
Due scene di morte e una d'amore. Non so perchè, oggi, a quest'ora, mi ritornano in mente queste 3 scene da questi 3 film (Stardust memories, o Annie Hall, quello di Woody Allen? Intorno agli anni 80, circa)...
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