lunes, julio 17, 2006

Quante cose possono succedere nell'arco di una settimana? Pochissime, oppure infinite (dipende, ovviamente). In una settimana ci si può laureare in Giurisprudenza con una tesi sulla libertà religiosa (come è capitato a mio fratello, Dadda, una spalla indiscutibile su cui piangere o da stringere forte nei momenti di sconforto), oppure si può vincere un Mondiale (come è successo all'Italia, con santo Buffon tra i pali, e la regia perfetta di Pirlo, il muro invalicabile di Cannavaro, la grinta di Gattuso, lo sprint di Zambrotta, la classe di Grosso). Oppure, ancora, si può rischiare di fare la fine di Antonius Blok (sottocitato e in foto - sotto, anche la foto...), e cioè, si può correre il rischio di vedere la Morte in faccia. Non deve essere un bello spettacolo. Fa paura, la Morte, non ci sono santi (nè cristi) che reggano. Come è accaduto a mio nonno, un uomo tutto d'un pezzo che si è fatto da solo (se non fosse che questa espressione, questo semplice modo di dire, si è trasformato negli anni nello slogan di uno degli esseri più immondi che politica nostrana abbia mai creato - ma per ora è fuori, e non ci tormenta troppo con i suoi sorrisi più falsi di un dente falso di Giuda). Mio nonno è stato contadino e muratore. Due lavori che stroncano la carriera anche a quelli dotati degli stessi muscoli di Hulk. Ha costruito la casa in cui viviamo; si è autoprodotto un vino che è talmente forte da ubriacarti al primo bicchiere; andava in giro per le strade della mia cittadina natia con la sua mitica Bianchina caricandola di ogni cosa possibile e immaginabile (fieno per i conigli, stabbie per le stalle, mangime per le galline, calce e cemento per i muri che erigeva come un vero artista, con abilità inimitabile e pazienza infinita - nonno ha sempre avuto il pallino della precisione e sapeva essere pignolo, quando ci si metteva di punta e allora, addio, era impossibile negargli un favore o farglielo a metà, lui comandava e tu eseguivi, agli ordini, maestro - mastro Pasquale). Ora giace in un letto d'ospedale e non sappiamo ancora fino a quando. Ha visto la Morte in faccia e sta giocando la sua partita. Quando lo chiamo mi riconosce. Si volta di scatto e si capisce lontano un kilometro che ha paura. Lotta la battaglia più importante. Quella il cui esito, purtroppo, tutti sappiamo. Non ci sono più crociati (non ci sono più veramente?), ma questo tipo di battaglie persiste. Inutile girarci intorno. Ha paura. E io tremo solo all'idea. E vorrei continuare a vederlo camminare e alzare fondamenta di case a prova di terremoto, e passeggiare nei suoi campi, con l'erba medica e le galline attorno. Quanto dura una settimana? E quante cose possono succedere nell'arco di una settimana. Osservo il volto del compagno di sventura di mio nonno. Un vecchio sull'ottantina che, dice, ha fatto la guerra ed è arrivato fino a Singapore. Ieri mattina si è svegliato di soprassalto e ha cominciato a chiedermi se avevo già fatto la visita medica. Che le infermiere lo avevano curato bene, e che i suoi soldati, i compagni di guerra, erano tutti sani e salvi e sarebbero ripartiti subito, con la prossima nave. Mi dice che ha attraversato a piedi l'Himalaya. Sorride e mi chiede se può dare un bacio sulla fronte a mio nonno. Io sorrido (come assecondando un pazzo) e non so che fare. Poi aggiunge: "Oggi lo vedo meglio, mi sembra che stia meglio", indicando il corpo immobile e malato del nonno. Io glielo lascio fare, stando attento a che non gli cada addosso. "La guerra è finita", aggiunge, sempre con lo stesso sorriso sulle labbra. "La guerra è finita e lui oggi lo vedo meglio, mi sembra che stia meglio", conclude, prima di ritornare al suo letto, zoppicante e convinto di vivere la fine della guerra.

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