Una casa
Mi si è rotta una sedia, l'altra notte, mentre cercavo i dossier sui serial-killers più pericolosi e mefistofelici degli ultimi trent'anni. Sono caduto col culo per terra come un salame (il mouse aggrappato al polso come l'ultima ancora di salvezza - d'altronde, la rete è piena di metafore nautiche, si naviga in internet, noi tutti siamo internauti, il cursore sullo schermo è il nostro timone, nel mar dell'incertezza e nei labirinti virtuali). Così, ho cambiato sedia. Questa è più alta, di legno, marrone, di quelle vecchio stampo. Ti obbliga a una postura più seria e composta; ti tiene dritta la schiena, ed è dura come il marmo, e per uno come me non è proprio l'ideale. Mi viene il mal di schiena e spero non mi spunti la gobba.
Una casa è fatta di tante cose, oggetti, angoli (e persone, soprattutto).
Qui vicino ce n'è una piccola e modesta che mi ha sempre incuriosito (sulla strada verso il supermercato, quello sfigato, sorta di hangar dove vanno gli studenti a rifornirsi a miglior prezzo dei generi di prima necessità - pane, zucchero e caffè, acqua e carta igienica). La prima particolarità è che la cucina e il frigo sono sul balcone. Mi sono sempre chiesto come facciano i proprietari a cucinare la sera o a fare colazione la mattina. Il gas è di quelli antichi, quattro fornelli per scaldare l'acqua e poco più (il forno di certo non funziona); il frigo è di quelli ultramoderni, un colore azzurro accesso, metallizzato, alto 2 metri (c'entrerebbe un cadavere in piedi, e non ci starebbe stretto). Una tendina stinta separa l'interno dall'esterno. Dietro la tendina si indovina una porta, che, evidentemente, gli abitanti lasceranno ben chiusa a meno che non si trovino costretti ad andare in balcone per fare le loro cose. Ma come si può cucinare un piatto di pasta facendo avanti e indietro tra l'interno e il balcone? Come non congelarsi, in inverno? Come fare quando fuori è buio e piove (ma di notte - mi sono accorto qualche tempo dopo - hanno un grosso neon che illumina il tutto, impossibile non vedere quel che c'è dentro il frigo gigante). Se uno si ferma a osservare meglio si accorge che fuori c'è anche un lavabo, di quelli che usavano le nonne per sciacquare le lenzuola col marsiglia (prima di lasciarle stese al sole, mosse dal vento in terrazza). Possibile non abbiano nemmeno la lavatrice (o una lavastoviglie)? Siamo alle soglie del 2008 e questa casa è un enigma.
Ecco i suoi abitanti: lui vecchio, coi capelli lisci bianchi; lei più giovane, si direbbe sulla cinquantina, con i capelli voluminosi biondo platino e il rimmel agli occhi, una donna gioviale, dal sorriso aperto e sincero, con un paio di jeans stretti e un maglione giallo slargato. Lui fuma il sigaro e fa la guardia alla pentola con l’acqua per la pasta; lei mescola un po’ gli ingredienti nella pentolina più piccola, aglio olio e peperoncino (o forse è un sugo al ragù, da quaggiù né si vede né si sente niente). Poi il vecchietto bacia la donna sulle labbra (ha scostato il sigaro, da vero galante) e scompare da dietro la tendina. Il movimento dall’esterno del balcone all’interno della casa è quindi costante, ogni volta che decidono di prepararsi da mangiare. Lei apre il frigo e afferra una busta marrone (non so cosa contenga, forse è la frutta, forse affettati). Lui torna indietro. Lei entra in casa. Poi lui si appresta ad aprire il pacchetto degli spaghetti; mi viene l’acquolina in bocca e non esiterei ad autoinvitarmi a pranzo, se non fosse che l’uomo mi scopre, mi guarda e capisce che li sto guardando, distolgo lo sguardo e me ne vado verso il supermercato-hangar. Mi domando ancora di quanti metri quadrati sia quella casa e il motivo della presenza di una cucina e un lavabo in balcone. Non sembra così minuscola. La casa resta un mistero.
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