domingo, mayo 27, 2007

Quando ringraziare è segno di buona educazione



Padova. Si è dato il caso che per motivi di lavoro (ovvero: di studio) abbia trascorso due giorni a Padova. La cosa non sarebbe accaduta (meglio: non avrebbe affatto avuto luogo) senza l'appoggio morale e l'aiuto pratico di alcune persone. In un mondo (e in un'epoca) in cui ringraziare è diventato fatto quasi "raro", voglio cogliere l'occasione per incidere sul marmo virtuale della rete (e sulle pagine eteree di questo blog) i nomi di due persone che, in particolare, mi hanno dato la loro mano. Aurelia, per gli amici "Auri", si è sobbarcata l'onere di sostituirmi a lavoro, beccandosi uno dei turni peggiori (grazie Auri, sai che il favore sarà ricambiato, basta chiedere e ti verrà dato, fosse anche il giorno di maggiore afflusso di barbari); mentre Gabriele mi ha accolto nel suo appartamento padovano con un'ospitalità generosissima, senza risparmiarsi nemmeno nelle ore più notturne, quando l'attenzione scende e la fame è tanta, quando l'orologio segna un'ora che il cervello non riesce più a percepire, tanto è sfasato il resto del corpo (grazie, Gabriele, sai che non appena metterai piede a Pisa avrai un compagno di sbronze col quale lenire il tuo stress da professore "a contratto" - o col quale gioire per la tua serenità relativa da "assegnista di ricerca").
Padova, dicevo. Padova assomiglia a Bologna perchè il centro storico è attraversato da una bella schiera di portici (sono utilissimi d'estate, perchè ti proteggono dal sole cocente; immagino lo siano anche d'inverno, quando piove e non occorre andare in giro con l'ombrello); al contempo, Padova ricorda molto la non molto distante Venezia (20 km, col treno ci si impiega al massimo dieci o quindici minuti). Come nellà città lagunare, così a Padova esiste una Piazza delle Erbe e una Piazza dei Signori (o almeno, così credo, se non ricordo male). Come là anche qua si possono incrociare ponti e ponticelli, agli angoli delle strade maestre, con un ruscelletto (o fiumiciattolo) che scorre placido e va a sfociare chissà dove (sono ignorante in geografia). A Padova la vita universitaria la si respira da subito: annunci di posti letto affitasi da Lettere a Scienze Politiche. Il Rettorato conserva ancora la sua maestosa seriosità. Le studentesse si riuniscono spesso a prendere l'aperitivo nei locali più "trendy". Qualcuna prende il sole, beatamente distesa sui prati del Prato della Valle, dai padovani considerata una delle piazze più grandi d'Europa (se non la più grande). A pochi passi dal Prato spicca la monumentale Basilica di Sant'Antonio; il turista che soffre il caldo afoso di questi giorni può trovare refrigerio se, in punta di piedi e con tutto il rispetto dovuto ai luoghi sacri, si addentra lungo la navata centrale e si prepara a perlustrare quelle laterali sotto la guida del caso (alle pareti, dipinti di scene sacre, lumini accesi, candele, pulpiti, reliquari vari, confessionali, crocefissi e quant'altro). Corso Garibaldi e Corso del Popolo, invece, sono i luoghi pagani del centro città: tanti negozi (gli stessi che trovi a Fiesole o a Milano o a New York - ah, la globalizzazione!), tante belle fanciulle a spasso col loro cagnolino, groppuscoli di studenti delle medie in gita e gruppetti di trentenni in cerca di materia prima. Si fa presto ad arrivare alla Stazione centrale. Leggo l'ora (13,43) e la temperatura (33 gradi). Raccolgo le ultime energie, regalo due briciole del panino a due piccioni che mi seguono fino al binario 2 (razza di scorta), assaporo per l'ultima volta il profumo dei gelsomini che popolano l'entrata e l'uscita della stazione, bevo il caffè e fumo una Camel Lights. Poi salgo sul treno e rivedo accelerate Bologna, Prato e Firenze.
Tutto ciò, anche grazie a loro: Auri e Gabriele.

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