miércoles, mayo 23, 2007


Ascoltando "Roma capoccia"


Il Milan ha vinto (per me poteva anche perdere) e soffia un venticello leggero che accarezza la fronte e asciuga il sudore della corsa in bici Lungarno. Ascolto la famosa canzone di Venditti e mi viene in mente er Cupolone, sua santità, con Via della Conciliazione illuminata a festa (non scorderò mai i cornetti al cioccolato di quel bar in via Barletta... alle tre di notte, di corsa, con il motorino scassato di mio fratello); Via Veneto, agghindata per i ricchi turisti che ci passeggiano lentamente con gli occhi proiettati verso la felliniana dolcevita; Trastevere, con le sue osterie (meglio: ostarie) dove ti servono ancora in dialetto romanesco puro 100% e i piatti strabordano di spaghetti all'amatriciana (da Amatrice, se non erro)... e poi Piazza di Spagna, con la scalinata di Trinità de' Monti a quest'ora sicuramente addobbata con i grossi vasi di fiori di ogni specie, con i colori che si riflettono sull'acqua della cosiddetta Barcaccia, di Bernini (padre e figlio: Pietro e Gian Lorenzo), la targa del poeta Keats in bella vista, sotto qualche cartellone pubblicitario di Versace o Valentino... e poi Piazza Vittorio, con le sue palme enormi e i cinesi che fanno il solitario al computer coi negozi aperti fino a tardi e i pakistani e gli altri arabi che fumano e smerciano chissà cosa dietro i bidoni della spazzatura e agli angoli delle strade, con i romani che si lamentano sempre perchè lì ormai sembra Chinatown e non c'è più un italiano (quando non è vero e il mix dà vita all'armonia, anche musicale, come è stato per l'Orchestra di Piazza Vittorio, sì)... e poi Via Leopardi, dove vive mio fratello, che a quest'ora starà fumando sul balcone l'ennesima sigaretta e pensa a risolvere un caso davvero ostico... e poi la stazione Termini, la mia seconda casa, quando si trattava di smaltire una sbronza, o una storia d'amore andata a finire male, o quando dovevo aspettare il notturno, o il treno, o riaccompagnare qualche amica a casa, verso viale Reggina Margherita, vicino all'Università La Sapienza, con la sua statua di bronzo, la Minerva (circolava la leggenda che se la guardavi prima di sostenere un esame allora ti bocciavano e andava male)... e il quartiere del Tufello, con le sue agenzie di viaggio e i suoi giovani sbandati, le coppiette e la gente che porta a spasso il cane a ore improbabili, come quando io e Roberto facemmo colazione alle 5 del mattino e c'era un cacciatore (con tanto di carabina) che aveva fatto spesa (latte, biscotti, una bottiglia di whiskey e tre bomboloni da portar via)... e la stazione Tiburtina, ben più anarchica e sporca di Termini, mi basta pensare all'ingresso e chiudere gli occhi per vedere quella zingara con due figli piccoli che chiede l'elemosina e ti fa tenerezza perchè chiede con garbo, non è insistente come le altre, che ti vogliono leggere la mano o ti vendono fazzoletti di carta e intanto ti maledicono... il Verano, coi suoi lumini sempre, eternamente, accesi, come a ricordati: vai piano, non correre, i tuoi ti aspettano... anche se poi quella sarà la tua casa, la fissa dimora... e il Gianicolo, da dove si contempla da lontano il labirinto delle strade della capitale, Roma capoccia, der monno infame, con il suo smog e il traffico e i rumori e i romani e i turisiti e gli stranieri e i musei e i panorami più emozionanti, soprattutto nelle ore del primo mattino, all'alba, quando il sole sta per spuntare sulle guglie delle chiese valdesi e i camion della spazzatura tornano alla discarica e i tassisti sonnecchiano nei loro taxi e l'ultima coppietta si saluta all'ingresso del palazzo, lei ha sonno, lui la bacia, si promettono amore eterno, domani è un altro giorno, accelero perchè anch'io ho un sonno che muoio e mi sento anche piuttosto alticcio, accelero e supero via del Castro Pretorio, via del Muro Torto, Piazza Fiume, poi sono finalmente a Piazzale dell'Indipendenza, Termini per me ormai è un faro di salvezza, con le sue luci eternamente accese, come quelle delle tombe del Verano, grazie Roma, cantava lo stesso di Roma capoccia...

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