martes, noviembre 13, 2007

Viaggi (senza casa)

Ascolto At last, della bravissima Etta James, e danzo sul bordo… Tra poco meno di 24 ore sarò a Madrid. La seconda patria (o seconda casa). Non so se avrò la stessa impressione avuta nel 1999, quando ci andai per la prima volta. Anzi, probabilmente l’effetto sarà diverso. Così come m’è parsa un’altra città quando la visitai nel 2001. E quando ci passai tre mesi nel 2003; e quando ci tornai per un convegno nel 2005. E quando ci passai l’estate del 2006. Si può vivere a metà, tra due nazioni? Si può stare con un piede in Italia e l’altro in Spagna? Quando ci si pongono di simili domande ci si rende subito conto del fatto che se si nasce in un posto è solo frutto di casualità. Non stava scritto da nessuna parte che io nascessi in un paesino arroccato tra i monti abruzzesi. E non era previsto da nessuno che nascessi dai genitori che poi ho avuto (la fortuna di avere). Il caso fa il bello e cattivo tempo, a prescindere dalla nostra volontà. E c’è chi si ritrova a vivere un rapporto a distanza non volendolo. E chi, invece, magari, vive un rapporto con la vicina di casa e ha già una casa e gli sta bene così (o ne trova una nella stessa città e decide di comprarla: facciamo un mutuo, tra quarant’anni la casa sarà nostra, potremmo lasciarla in eredità ai nostri figli, che ne pensi?). C’è chi è nomade di spirito; e chi non vede l’ora di fermarsi in un posto e passarci tutta intera la vita. Io personalmente mi annoio dopo una settimana a stare nella stessa città. E per questo do da mangiare alle FS da ormai più di dieci anni. E mi muovo tra Firenze, Pisa, Roma, e il paesino abruzzese di cui sopra. La casa è lì dove sono i tuoi affetti. Devo avere gli affetti un po’ sparsi in mezza Italia, ultimamente. Toscana, Lazio e Abruzzo. Senza contare gli amici vicini e lontani (Silvia di Vercelli – dunque Piemonte; Rosa e Seby di Salerno – dunque Campania; Emanuela di Fiuggi – dunque ancora Lazio; Gabriele di Macerata – dunque Marche; e Gabriele l’altro di Padova – dunque Veneto; Aurelia di Oristano – dunque Sardegna). E poi Daniela e Giovanna, di Livorno, e Roby, e Mery, e Renzo, ecc. ecc.
C’è chi trema all’idea di fare un colloquio di lavoro a qualche kilometro di distanza da casa sua; io partirei al volo, anche senza valigie, anche se il colloquio fosse a New York (città che mi riprometto di visitare, prima di morire). E poi c’è Cuba e La Habana con le macchine d’epoca ancora funzionanti; e il Messico con la capitale (tra le città più pericolose del globo, a detta delle statistiche); e il Perù; e il Canada o l’Australia, che tanto piacciono ad Alyssa. Che è più sedentaria e domestica di me (quante discussioni al riguardo!). Ma esiste davvero poi una casa in cui poter stare tutta la vita? E poter dire, “finalmente”, “at last”, sono arrivato…

2 comentarios:

  1. A proposito di caso: ho un'amico di Vercelli che ha un'amica della tua città natale!
    La casa è un po' ovunque e nello stesso momento in nessun luogo. Penso che "l'uomo" fondamentalmente cerchi il benessere (in tutti i sensi), quindi si sposta o si ferma nel posto in cui sta meglio in quel preciso momento.
    Viaggiare è stupendo ma anche faticoso, soprattutto se ci metti l'anima, se ti fai rapire da ogni angolo di città, se ogni particolare diventa un universo in cui buttarti.

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  2. E' esattamente quanto mi sta succedendo in questi primi giorni di vagabondaggio "voluto": cammino per strada e fisso insegne, memorizzo nomi di strade (ce n'è una qui a Madrid che si chiama "Calle del pensamiento", da da pensare,vero?) e osservo volti e monumenti...Un universo in cui buttarsi e da cui a volte è difficile uscire. Per capire e osservare a debita distanza. Un abrazo desde la Corte y Villa

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