martes, enero 22, 2008



Andar per congressi (ovvero "della tautologia" e "dell'autoreferenzialità")






"Ma secondo te", pausa: "il tiramisù viene meglio con i savoiardi o coi pavesini?", punto interrogativo.


La domanda coglie alla sprovvista Auri e aleggia in mezzo ai fumi dell'alcol e della cannabis. La mia amica carezza una gatta dal pelo persiano, una gatta che m'incute un certo timore perchè ha gli occhi gialli (sì, proprio così: gialli) e mi fissa come fossi l'intruso del momento.


"Secondo me viene meglio con i pavesini, sono più delicati". Il mattino dopo ho un impegno accademico. Siamo in Aula Magna, e dentro queste quattro mura storiche si svolgerà un convegno dal titolo "testo e contesto" (o era "testo e commento"? No, forse è: "contesto e commento"). In fondo all'aula, la cattedra intorno a cui i docenti e gli addetti ai lavori si scambiano i saluti di rito (sorrisi falsi e denti aguzzi, anche lo spettatore più benevolo non può non notare la quantità di bile e di ipocrisia che riempie le espressioni facciali di quei supposti colleghi, fratelli d'una stessa casta, ma fratelli cainiti, pronti ad accoltellarsi alle spalle o a sparlare l'uno dell'altro non appena l'uno - o l'altro - volta l'angolo e se ne torna a casa). Un nugolo di dottorandi prende posto sulle poltroncine morbide e imbottite (d'un rosso fuoco che stona alquanto con l'arancione smorto delle pareti). Un lampadario stile Luigi XVI sovrasta le capoccie di ricercatori e assegnisti, di professori a contratto e manovalanza intellettuale varia (varia e avariata, a volte, dato lo stress intellettuale costante cui sono sottoposti certi cervelli fini).


Mi tengo a distanza e osservo (pronto a prendere appunti, intorno alle tante cose interessanti su cui discetteranno i qui presenti luminari delle scienze umane e del settore umanistico...). Osservo il primo prof. che ci parlerà delle immagini ovidiane nel canto XVI dell'Inferno dantesco (un periodare incerto fa da pandant a un eloquio altrettanto sghembo: il prof. parte, poi si ferma, emette una sfilza di "hum... mmm...", poi riprende la frase principale, prova ad attaccarci una subordinata di senso compiuto, ma non ce la fa, eccolo che ci riprova, niente, accidenti, ha perso il filo, ad ascoltare lui si rimpiange davvero tanto Roberto Benigni e le sue lezioni in piazza ora ritrasmesse in Rai in seconda serata).


Allora attacca il secondo docente: ci parla di "corpi ignudi e corpi vestiti" nelle immagini dei manoscritti quattrocenteschi del Decameron boccaccesco. C'è anche la presentazione col proiettore. Le immagini che porta ad esempio sono molto suggestive, ma anche qui, l'analisi non mi convince, non riesco a credere alla deliberatezza con cui questi famosi amanuensi debbano aver cesellato - in base alle ipotesi interpretative di questo docente - i versi e le narrazioni a volte spassosissime di Boccaccio.


Prima della pausa caffè, c'è tempo per ascoltare interventi sui Tristia ovidiani e la "topica" dell'esilio; sul concetto di ermeneutica in Schiller e Schelling; e, infine, sugli influssi di Rilke nell'opera di non ricordo più quale poeta spagnolo.


Ora, io sono d'accordo, posso concepire lo studio serio della letteratura. E posso credere come credo che la critica letteraria non sia affatto disciplina da trascurare o addirittura branca ancellare della letteratura (senza i critici, senza qualcuno che insegni a leggere, la letteratura morirebbe o finirebbe in un ghetto di pochissimi esperti aficionados). Però... come si può avviciniare alle "humanae litterae" un pubblico di non specialisti se ci si specializza fino ad estremi che sfiorano la ridicolaggine? Come si può rispondere alle domande che la Letteratura ci pone ancora oggi se si concepisce il mestiere del critico come uno scandagliare sempre più erudito e sempre più arido nel testo letterario? Che fine fa il piacere della lettura? E' possibile fare critica letteraria rispettando il testo, il lettore ed eventualmente l'autore che quel testo l'ha scritto e l'ha prodotto in base alla sua preparazione, sensibilità, cultura?


Mi pongo di queste profonde questioni, quando una dottoranda che sembra la sosia della Parietti mi si avvicina con fare puttanesco (ha una scollatura generosa e una gonna con lo spacco semi-inguinale) e mi chiede se conosco il prof. Tanzio Tazzi, vorrebbe parlarci, ma non l'ha mai visto e non vorrebbe fare figuracce. Non conosco Tazzi, tantomeno individui che rispondono al nome di Tanzio, però m'intrattengo con la dottoranda e commetto l'errore di chiederle qual è l'argomento della sua tesi (mai chiedere a un dottorando di cosa si occupa: si rischiano ore d'interminabili litanie o auto-elegie): "Sto scrivendo una tesi sui racconti di streghe del XVI secolo in aerea anglofona. E' una campo quasi vergine, sai?" (tutto l'opposto di ciò che sembra lei) "ancora poco studiato eppure ricco di risvolti sul piano non solo letterario ma anche prettamente sociologico. Sai, la sociologia della letteratura è una delle mie passioni nascoste. Mi piacerebbe potermi occupare anche della filosofia strutturale che sta alla base dei lavori di Pierre Bourdieu, conosci Pierre Bourdieu?" (lo ignoro e confesso la mia igoranza, e lei, imperterrita, continua la sua lagna): "Perchè, sai, io mi sono occupata anche di stampa, sì, cioè proprio dell'invenzione della stampa da parte del buon vecchio Gutenberg, ho scritto un articolo sui primi incunaboli della versione tedesca della Bibbia, quella realizzata da Lutero nel..." (e continua, continua, senz'accorgersi minimamente delle scudisciate con le quali i miei occhi avidi di carne le tagliano il vestito, la gonna, penetrandone scollature, angoli nascosti e scuciti, lati nascosti...).


Gli interventi della seconda parte sono decisamente più umani e mi ricredo sulla funzione della critica oggi (e sul senso dello studio della letteratura all'Università). Prendo in prestito un libro da Italianistica e leggo una descrizione "realistica" di quello che è appena successo (mi riferisco agli interventi della "giornata di studi", non allo sproloquio della dottoranda - chè questo rientra in un altro genere):


"E in effetti, cosa c'è di più noioso dell'assistere alle evoluzioni di un trapezista, che volteggia ripetutamente sotto i nostri occhi, magari con grande maestria, ma sempre con una stupefatta ammirazione per la propria bravura?" (Mario Lavagetto, Eutanasia della critica, Torino, Einaudi, 2005, p. 40). Tautologia ed autoreferenzialità: i due peccati capitali di cui si macchia tanta critica cosiddetta "letteraria"...

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