martes, mayo 12, 2009

Quanta fretta!

Entro fine Maggio abbandonerò questa bella casa nei pressi dell'Hotel President, per trasferirmi in un'altrettanto bella casa a qualche chilometro da qui (in tutt'altro quartiere - questo di lusso, quello popolare e più casinaro).

Nel mentre, devo ancora pensare se accettare l'ennesima tesi e su cosa indirizzare la mia studentessa che non vede l'ora di laurearsi. 

Intanto, mio fratello (di cui sotto) deve scappare a Civitavecchia per recuperare un po' di moneta. E Alyssa mi ha promesso che andremo al cinema (anche se ormai sono mesi che non abbiamo tempo nemmeno per una cena a due).

Quanta fretta! Queste riflessioni di Giacomo Marramao (uno dei filosofi più eleganti dell'attuale panorama nostrano) sembrano cogliere il segno (di quello che mi sta capitando in questo periodo; di quello che ci capita nell'era della cosiddetta iper- o post-modernità):

"La fretta dunque - non la velocità - racchiude in sé la cifra della nostra "situazione spirituale". Si tratta di una distinzione decisiva. La sindrome temporale che contrassegna la condizione ipermoderna non è la velocità in quanto tale. Il mondo greco apprezzava enormemente la velocità, che era considerata un fattore di virtù: non per nulla l'Iliade tesse l'elogio di Achille nella sua prerogativa di "piè veloce". La velocità era tuttavia virtuosa solo in quanto funzionale allo scopo: solo nella misura in cui si dimostrava capace di cogliere l'obiettivo. Non aveva spazio, all'interno della cultura greca, la dimensione della fretta, della precipitazione del tempo: la fretta, l'accelerazione insensata e imprudente, manca il bersaglio, esattamente quanto la lentezza, l'esitante indugio. Fretta e lentezza, precipitazione ed esitazione, non sono che due forme speculari di intempestività. Il modello classico, pertanto, resta legato [...] alla "virtuosa" tensione di opposti da cui si genera la decisione tempestiva: tensione cui concorrono, in pari grado, velocità e prudenza, prontezza e conformità allo scopo. La fretta è altra cosa: è il divaricarsi della velocità dalla finalità, del mezzo dal fine; è l'autonomizzarsi della velocità sans phrase, dell'innovazione come tale, del nuovo fine a se stesso".

Ma una volta appurata la differenza "abissale" che esiste tra "fretta" e "velocità", cosa possiamo dire a proposito di questa "sindrome della fretta" che contraddistingue questo nostro tempo? Da cosa dipende, in definitiva? Marramo risponde citando Octavio Paz, che parlava di "colonizzazione del futuro". Ormai, tutto - o quasi tutto - viene pensato, presentato, declinato al futuro. Con grave danno della percezione del passato e del presente; di fatto:

"Il futuro non appare più, come all'epoca della rivoluzione industriale, una dimensione liberatoria, ma una routine innovativa sotratta alla volontà dei soggetti individuali e delegata a strutture tecnologiche impersonali, che vanno dall'azienda ai grandi complessi della comunicazione globale. Il tempo non è più "a nostra disposizione", alla nostra portata, ma ci appare piuttosto come una dimensione a priori sottratta alla nostra capacità di decisione. E' come se noi moderni avessimo edificato una società futurocentrica in cui l'avvenire, anziché dispiegarsi come soluzione dei nostri problemi vitali, fosse imploso ripiegandosi in futuro passato. [e qui viene il bello, il colpo di grazia] Si è così prodotta quella sindrome della condizione moderna che era stata intuita, con straordinaria capacità anticipatrice, da Shakespeare, quando aveva messo in bocca ad Amleto quella frase bellissima e sconvolgente: The time is out of joint. "Il tempo è fuori-asse", è uscito dai cardini: "Dannata sorte", proseguiva il povero Amleto, "essere nato per rimetterlo in sesto". Come Amleto, anche noi viviamo una vita fuori-asse rispetto al presente".

O troppi protesi verso un futuro che non è tale; o troppo ripiegati nel passato. Incapaci di stare nel presente, incapaci di prendere quelle "decisioni" (come le chiama il Nostro) capaci di farci stare bene e di farci vivere in pace. Quale via d'uscita? Marramao non ne parla. Ci ricorda che la filosofia non è la panacea dei nostri mali; semmai, è uno strumento utile per riconoscere che un male c'è e va curato. 

A ognuno di noi spetta il compito che si era arrogato Amleto parlando di un tempo "fuori-asse" da rimettere in sesto; un tempo proprio come quello in cui noi - post- o iper-moderni - siamo costretti a vivere...

Quanta fretta! E che casino!

[da Giacomo Marramo, La passione del presente, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 99-103]


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