E così,
dopo ben 2 anni d’assenza, torno a Pisa, la città che mi ha visto crescere come
studioso e che mi ha accolto come dottorando, per ben 3 anni (vissuti
intensamente), quando ancora si era giovani e non si sapeva minimamente che si
sarebbe finiti a fare i prof. (o i docenti, o gli insegnanti, o i maestri, che
tanto – in molti casi – è uguale, anche se – spesso – cambia lo stipendio e la metodologia
da utilizzare in classe, la fauna umana che ci si ritrova davanti o i libri su
cui si studia, ma non lo stress, non l’impegno o il sudore che implica un
lavoro del genere, usare le parole per convincere, persuadere, informare,
smuovere dal torpore dei ragionamenti della società del momento, etc.).
Pisa, con
il suo fantastico Lungarno (superiore anche a quello di Firenze, a detta di
Giacomo Leopardi) e la Torre arcinota nella bellissima Piazza dei Miracoli, e
la sua Scuola Normale Superiore, con Piazza dei Cavalieri a far da sfondo alle
nostre chiacchiere da congresso (o conferenza o simposio) e Piazza delle
Vettovaglie, vero centro nevralgico della gioventù studentesca del luogo, punto
di riferimento per chiunque voglia sbronzarsi a suon di vino economico e
birretta in bottiglia… E Piazza Garibaldi, una delle mie preferite, anche perché
lì ci trovi una delle gelaterie migliori di Pisa, e le Piagge (dove andavo a correre
quando ero troppo stanco e stressato per la scrittura della tesi), e la
stazione, e l’aeroporto, entrambe vicine, ai miei occhi di “romano” o di “madrileño”
giramondo…
È davvero
bello tornare, quando si è stati assenti tanti mesi da un posto in cui abbiamo
lasciato un pezzo di cuore. Perché a Pisa ho conosciuto alcune delle persone
più simpatiche e intelligenti che conosca; perché qui ho lasciato almeno un
paio di buoni amici, di quelli che non ti dimenticherai d’invitare al
matrimonio, il giorno in cui deciderai di sposarti, gente come Nico o Selene,
gente che ti fa un caffè quando più ne hai voglia, o che ti aiuta a fare la
valigia quando mancano pochi minuti alla partenza del tuo aereo…
Ecco: io
a Pisa mi trovo come a casa mia, perché ci sono alcuni di quegli amici
fondamentali che ti rendono la vita più facile, più sopportabile, più interessante
o intrigante, più degna d’essere vissuta, insomma.
Come
Nico, che mi parla delle sue potenziali fidanzate (ma nessuna gliel’ha ancora
data, povero), e come Selene, che si sorprende se infilo un dito dentro il
bollitore del latte per verificare se è caldo (e mi sgrida contro: “Non conoscevo
il tuo lato primitivo!”).
E poi ci
sono i colleghi (che fanno parte integrante inevitabile dei congressi o i
convegni o i simposi), tra i quali si contano sia persone amiche che persone
sgradevolissime, impossibile fare di tutt’erba un fascio…
E molti
che mi chiedono: “Ma come ci sei finito in Spagna?”. E altri: “Chissà come te
la starai spassando in Spagna?!”. E altri ancora: “Beato te, che sei in Spagna!”,
come se la Spagna – la cui crisi è, per certi versi, ancora peggiore della nostra –
fosse il Paradiso sulla Terra, come se davvero qui uno fosse in grado di vivere
senza le angoscie tipiche d’Italia (ma non è così, non è che la Spagna sia
meglio dell’Italia, è semplicemente che qui si vive con una mentalità diversa
dalla nostra – e un giorno mi metterò ad analizzare da vicino in che senso l’una
mentalità sia diversa dall’altra e perché gli spagnoli – al di là e nonostante
la crisi – vivano con uno spirito un po’ più allegro del nostro).
A cena
andiamo in un hotel di lusso del centro: c’invita l’Ambasciatore di Spagna in
Roma. Ovvero: l’Ambasciatore si è scomodato e si è spostato da Roma ed è
arrivato fino a Pisa per omaggiare professori come noi, che si dedicano allo
studio (e alla diffusione) della lingua, della letteratura e della civiltà
spagnola…
E quante
risate, chiacchierando e criticando il vicino, insieme a Selene, quanti commenti
che non ho captato, quanti ricordi, parlando con l’uno e con l’altro, quante
teste ingrigite (ma i capelli bianchi stanno crescendo anche sul mio cranio),
quanti tuffi nel passato, quanti ricordi legati a Pisa, quanti volti noti e
meno noti, quante parole vacue e vane e vuote di senso e quante, invece,
talmente intrise di significato da lasciarti a bocca aperta quando le senti in
bocca a qualcuno che hai amato in passato, perché a Pisa ci sono anche persone
che ho amato in passato, persone che mi hanno reso ciò che sono oggi, ragazze
che oggi sono donne, donne che oggi sono spose, spose che domani saranno madri,
madri che dopodomani saranno nonne… E allora questa città diventa il centro di
gravità permanente dei miei ricordi, la città dei fantasmi del passato, fantasmi
grati, che non mi fanno paura, anzi, tutto il contrario, sono fantasmi che mi
coccolano, che mi ricordano ciò che fui e che mi dicono – senza esserne
consapevoli – ciò che potrò essere, lontano da Pisa, lontano dall’Italia,
lontano dagli anni belli della beata gioventù.
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