lunes, agosto 27, 2007

I libri in soffitta

In questi giorni, oltre alle letture sacre (vedi sotto), mi son dato alla rilettura dell'ultimo romanzo di Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana (Milano, Bompiani, 2004). Quando lo lessi la prima volta, devo essere sincero, non ne rimasi così entusiasta; ad una seconda lettura, invece, il libro mi prende, la trama mi avvince, il personaggio m'ispira simpatia. La trama assomiglia alla Recherche di Proust; in realtà, potremmo definire il tutto come una sorta di "parodia proustiana" della ricerca del tempo perduto. Il narratore protagonista perde la memoria cosiddetta "episodica" (la serie di episodi che compongono la sua vita) e conserva intatta la memoria cosiddetta "semantica" (ricorda alla perfezione la data della morte di Napoleone, le citazioni da opere di T.S. Eliot, R.L. Stevenson e Pinocchio). Per cercare di recuperare anche la prima, sulla scorta dell'aiuto della seconda, Yambo (così si chiama chi racconta) torna nella casa paterna, affinchè i ricordi riafforino in modo più nitido e diretto (solo così gli si accende la "misteriosa fiamma" cui si riferisce il titolo).
Il libro si auto-presenta come "romanzo illustrato" ed in effetti è pieno di immagini: foto d'epoca, foto di copertine, illustrazioni di dischi degli anni in cui Yambo era un fanciullo (anni 30, inizio anni 40, quando Mussolini comandava l'Italia sotto l'egida del Fascio Littorio) e altro materiale documentaristico. Il fascino del libro sta anche in questo apparato "visivo" che lo stesso narratore-protagonista ci fa vedere e ripercorre avidamente con lo sguardo per tentare una ricostruzione il più possibile obiettiva e veritiera di chi era, di chi è stato e di chi è attualmente.
In tutto il romanzo si respira l'aria delle cose vecchie, della robaccia che confiniamo alla cantina perchè ormai inservibile o passata di moda; c'è aria di antichi costumi ormai in disuso, lampade a olio, camino acceso nell'inverno rigido delle Langhe, le zolle di terra con le viti ancora immature di un'uva che verrà a Settembre, puntuale, pioggia permettendo.
E così, anch'io, come Yambo, mi son ritrovato bambino, quando leggevo E.A. Poe senza capirlo, anche se i suoi racconti devono aver lasciato una traccia indelebile nel mio DNA di lettore; oppure quando, in vacanza, ne approfittavo per leggere Topolino (più tardi sostituito da Dylan Dog, l'unico fumetto che colleziono e leggo ancora oggi, alla veneranda età di 30 anni); e mi domando: ma quali sono stati i libri che mi hanno segnato? Con quali romanzi ho trascorso la mia adolescenza (turbolenta, romantica, estrema, dubbiosa, come ogni adolescenza che si rispetti)?
Mi vengono in mente subito tre titoli: Cent'anni di solitudine, di Gabriel García Márquez (ancora oggi non riesco a capire bene come e quanti membri compongano l'albero genealogico della famiglia Buendía, ma quel romanzo mi ha davvero cambiato la vita, lo lessi in tre giorni, di filato, dopo aver messo da parte i libri di scuola, e aver imparato a leggere la realtà da un'ottica distorta, la scrittura come "creazione di un mondo altro", in cui i personaggi volano, muoiono e risorgono per amore o per vendetta, dove le donne aspettano i mariti, in eterno, dove i generali perdono eternamente le loro guerre personali, dove le ragazze più affascinanti subiscono gli scherzi più amari del destino e finiscono col mangiare la terra o la calce delle mura di casa); e poi c'è Ulysses, di James Joyce, anche se in realtà la lettura integrale e completa venne in secondo tempo, quando ormai avevo 19 anni (la prima cosa che lessi di questo anti-romanzo geniale fu l'ultima parte, il monologo lunghissimo e sconnesso, lirico e assurdo, di Molly Bloom, ero turbato dalle parole che l'autore immagina la sua creatura romanzesca dica in sonno o in sogno, quanti pensieri intrecciati a desideri, quante dichiarazioni di poetica, smentite, amori nascosti, parolacce, intimità violate, ascoltando l'andirivieni a spirale dei pensieri notturni di Molly, la moglie di quel povero disgraziato di Leopold Bloom, uno di noi, ricordo ancora il professore d'Inglese al Liceo, una mattina entrò in aula e scrisse queste due frasi alla lavagna, a caratteri cubitali, parole, per me, all'epoca, piuttosto incomprensibili: "Leopold Bloom siamo noi; J.A. Prufrock siamo noi"); e infine c'è La metamorfosi, di Franz Kafka, non potevo credere a quanto leggevo, Gregor Samsa che si sveglia scarafaggio (o insetto mostruoso non ben identificato, non ricordo bene), un dolore, una pietà assoluta a leggere il rendiconto dettagliato di questo essere rifiutato da tutti, vilipeso, incompreso, isolato anche dai genitori, i quali provano vergogna del suo nuovo stato malaticcio e vorrebbero liquidarlo, cancellarlo per sempre dalla faccia della terra (solo dopo avrei capito tutta la ricchezza semantica della scrittura di Kafka, il suo carattere enigmatico, e intuito che David Cronenberg dovette ispirarsi evidentemente anche a Kafka per creare il suo remake di The Fly - con Jeff Goldblum che perde i pezzi, che va letteralmente in pezzi, in nome della scienza e della scoperta della verità - ma la verità si paga sempre a caro prezzo, lo sa bene anche il protagonista della leggenda inserita nella parte finale de Il processo). Letture d'infanzia e, poi, d'adolescenza, senza le quali, forse, non sarei quello che sono e non saprei dove andare nel labirinto delle tante soffitte o solai che ci attendono (ma Yambo riuscirà mai a trovare l'origine della "misteriosa fiamma" della regina del titolo?). Sono ancora a p. 156, manca ancora un po' per scoprirlo. Meglio così.

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