Ferragosto triste
Ormai la gente arriva già incazzata; hanno già pagato la stanza, via internet, e hanno già consultato i giudizi degli altri ospiti (di chi li ha preceduti, nel tempo, all'interno della stessa struttura). C'è anche chi ha già pubblicato le proprie foto; chi deride gli angoli dell'hotel più brutti o fatiscenti o old-style (detti anche vintage). C'è un mucchio di persone che parte prevenuta. E si è persa, purtroppo, la voglia di viaggiare per scoprire davvero le cose; i luoghi, gli usi e i costumi degli altri. Le curiosità inevitabilmente "esotiche" che potremmo scoprire in un'altra cultura, giudicandola dalla nostra (quella veicolata dalla nostra lingua madre, in cui siamo - costantemente e per sempre - immersi).
Nessuno sorride più. E anche andare in vacanza sembra essere diventata un'esperienza obbligatoria. Siamo troppo gregari, lo diceva anche il mio amico romano, Roby: lui odia fare quello che fanno gli altri, soprattutto se gli altri si ritrovano a farlo nello stesso spazio.
Roby è come me: se vede un bar super-affollato (perché magari è quello in cui fanno il miglior gelato del centro) scappa a gambe levate; se vede un ristorante pieno di turisti è certo che lì si mangerà male (o non così bene come potrebbe capitare in un'osteria nascosta e poco appariscente, una di quelle a gestione familiare che solo quelli del posto conoscono e raccomandano).
La gente che arriva in hotel ha le borse sotto gli occhi e non riesce mai a dormire. Non saluta e non ringrazia per le informazioni che vengono loro offerte a titolo del tutto gratuito.
C'è chi ha cercato la Torre di Pisa nei pressi degli Uffizi. E chi ha creduto che il David che si vede al Piazzale Michelangelo sia quello originale. E c'è chi gira a vuoto con la moglie o la fidanzata, convinto di essersi dimenticato di avere spento il gas e così ti trasmette la sua ansia e ti rovina quel poco di Ferragosto che ancora resta da festeggiare. E chi, insonne, ti chiama anche solo per fare due chiacchiere ("Can I have two more pillows, please?")...
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