lunes, enero 04, 2010

Elogio delle donne mature, di Stephen Vizinczey (Venezia, Marsilio, 2003)


Due gli aspetti che mi hanno catturato di questo libro (uscito per la prima volta in America nel 1965 – tit. orig. In Praise of Older Women): il primo è dato dal modo in cui il protagonista maschile riesce a crescere e a capire meglio se stesso e come funziona il mondo grazie al contatto intimo con donne più grandi di lui. Le donne hanno molto da insegnarci (su questo non ho alcun dubbio); soprattutto (sembra suggerirci Vizinczey) quelle sposate o che hanno un divorzio alle spalle e sono rimaste, diciamo così, “scottate” dall'amore. Sono maestre che guardano la vita con un sguardo più distaccato e non per questo meno ironico. Le migliori amanti con cui il narratore va a letto sono anche quelle più autoironiche. Quelle che quando dici loro “Ti amo”, sanno prendere le misure alle parole che spari a vanvera e sanno riportarti con i piedi per terra. Quelle che godono del momento, senza farsi troppe illusioni. Perché se è vero che l'amore è un'illusione che spesso usiamo per tirare a campare e per andare avanti, è pur vero che si rischia di perdere il contatto con la realtà se lo si vive come un evento “eterno”. L'importante è essere fedeli a se stessi e alla vita, ai propri sentimenti, hic et nunc; al riguardo, mi piace - e perciò trascrivo - questa riflessione del protagonsita su AMORE e TEMPO e ETERNITA':

“Ci aggrappiamo alla speranza dell'amore eterno, mentre neghiamo persino la sua validità temporanea. E' meno doloroso dirsi “sono superficiale”, “lei è un'egocentrica”, “non riuscivamo a comunicare”, “era un rapporto puramente fisico”, piuttosto che accettare il semplice fatto che l'amore è una sensazione passeggera per ragioni che sfuggono al nostro controllo e anche alla nostra personalità” (p. 150).

L’altro elemento che mi ha colpito del libro, invece, è il contrasto tra sesso e potere. L’autore - che, da giovane, ha combattuto contro l'Armata Rossa la rivoluzione d'Ottobre del 1956 per la liberazione dell’Ungheria dal giogo russo, finendo poi con lo scampare la morte e con il rifarsi una vita da immigrato a Roma - ci mostra in quasi tutti i capitoli del romanzo che non può esistere dittatura che possa togliere all’uomo la voglia di fare l’amore. Si fa sesso (e forse lo si fa con ancora maggior trasporto) anche quando chi comanda tenta di trasformarci in animali domestici addomesticabili; il sesso è la salvezza, è l’espressione più alta di umanità, quando la terra diventa un carcere a cielo aperto in cui chi comanda vorrebbe controllare il tuo corpo e la tua mente. E’ quanto succede a Budapest, all’epoca in cui Vizinczey era un incallito amante di donne mature e non sapeva ancora che sarebbe finito in Canada a fare il professore di Letteratura (dopo aver scritto una tesi su Sartre e la religione). Trascrivo un'altra citazione, questa volta sui risvolti devastanti di una dittatura sul cervello dei cittadini, anch'essa molto acuta e azzeccata:

“La lezione della dittatura consiste nel ricordarvi di continuo che i vostri sentimenti, i vostri pensieri e i vostri desideri non contano niente, che voi siete una nullità e che dovete vivere secondo regole imposte da altri. Una dittatura straniera [come quella che visse l'Ungheria negli anni 50 per colpa dell'URSS] vi insegna a disperare doppiamente; né voi né il vostro paese avete più importanza” (p. 155).

Come si combatte la dittatura? Come ci si può sottrarre a questo stato delle cose? Difendendo la propria dignità di uomini; e trovando piacere e pace nel fare sesso (non per forza con donne mature – ma si sa, loro sono più esperte e ai giovani maschi non possono non apparire più affascinanti delle altre, come dimostra ampiamente e ironicamente il narratore e protagonista di questo romanzo erotico-politico che è, al contempo, un canto e una lode al corpo e all'intelligenza delle donne, di tutte le donne che abbiamo amato in passato e di quelle di cui potremmo innamorarci domani)...

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